Isola di Santa Maria delle Grazie o Isola della Cavana

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Ongania Ferdinando. Isola di Santa Maria delle Grazie. Da internetculturale.it

Isola di Santa Maria delle Grazie (o Isola della Cavana). Chiesa e Monastero delle Cappuccine. Chiesa distrutta, Monastero demolito

Storia dell’isola, della chiesa e del monastero.

Circa la metà del XIII secolo nelle acque circonvicine al monastero di San Giorgio Maggiore, nella di cui giurisdizione erano poste dalla donazione del doge Tribuno Memmo, cominciò ad innalzarsi una palude di vaso circuito, cosicché in breve tempo divenuta isola fu riconosciuta capace di ricevere, e sostenere dilatate fabbriche. Si servì di tal occasione la pietà di Marco Bollani, abbate allora di San Giorgio Maggiore, che destinò quel luogo per erigervi un caritatevole ospizio ad accoglimento dei pellegrini, che si portavano alla visita dei sacri luoghi di Palestina. La consegnò però nel giorno 12 di ottobre dell’anno 1264 ad un certo fra Lorenzo priore di un ospitale in Venezia chiamato Casa di Dio, e in dialetto veneziano Cà di Dio, perché ivi fondasse un ricovero per viandanti con la sola condizione di riconoscere il monastero di San Giorgio Maggiore padrone del luogo con l’annuo censo d’una libbra d’olio. Non resta notizia alcuna se in quel sito denominato allora la Cavana vi fosse incominciata fabbrica alcuna, e solo si sa che nell’anno 1289 si ritirò in quell’isola un eremita camaldolese di nome Gerardo per ivi fondare un eremo del suo istituto, ma resistendovi l’abbate, e la comunità di San Giorgio Maggiore convenne al buon eremita abbandonare l’ideata impresa.

Si introdusse poi a coltivar l’isola solitaria un certo Ferrarese, il quale quantunque ammogliato, e padre di figli, pure si chiamava col titolo di fra Benedetto, ed ivi senza veruna permissione né dell’abbate, né di altro superiore continuò ad abitare con la sua famiglia sino alla morte, che seguì nell’anno 1327, dopo la quale volendo Margarita di lui vedova ostinatamente fissarsi in possesso del luogo, fu per sentenza dei giudici detti del Proprio costretta a sloggiare dall’usurpata abitazione dell’isola. Chi poi in essa fosse introdotto, ora ci resta ignoto, e solamente si rileva dall’apostoliche lettere dal pontefice Eugenio IV, scritte nell’anno 1439 al Santo vescovo di Castello Lorenzo Giustiniani, che in quel tempo “appresso alla chiesa di Santa Maria della Cavana, delle Grazie comunemente chiamata, e dipendente dal monastero di San Giorgio Maggiore” abitassero alcuni poveri eremiti. L’ultimo di questi per nome Guglielmo viene con lode rammemorato quale fondatore della Chiesa e Monastero delle Grazie nel decreto di San Lorenzo Giustiniani commissario delegato del suddetto pontefice Eugenio IV, comecché per di lui opera era stata insieme con le fabbriche a lei annesse rinnovata la chiesa sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie.

Né fu contento solamente il buon eremita di aver sotto gli auspici della Madre di Dio rinnovata la chiesa; ma perché in essa il divino ufficio fosse con maggior divozione esercitato, chiamò a sé compagni negli esercizi della vita solitaria alcuni degli Eremiti della congregazione di Fiesole, fondata recentemente sotto l’invocazione e protezione di San Girolamo dal beato Carlo dei conti Guidi di Monte Granello. Si portò circa lo stesso tempo anche lo stesso fondatore in Venezia così per visitare i suoi figli, come per ritrovare in questa città opportuno incontro di nave per passare alla visita dei luoghi di Terra Santa, ma avendolo iddio destinato ad un più pronto viaggio verso del cielo dispose, che poco dopo il suo arrivo fosse sorpreso da mortale infermità, per la quale rese felicemente l’anima a Dio nel giorno 5 di settembre dell’’anno 1417, e il di lui corpo, dopo solenni funerali celebrati con ammirabile concorso di popolo, fu sotterrato nella chiesa stessa di Santa Maria delle Grazie. Essendo poi la di lui congregazione stata eretta in vera forma stessa d’ordine sotto la regola di Sant’Agostino dal pontefice Eugenio IV, cominciò il venerabile fondatore ad essere venerato con culto di beato, e le di lui immagini così in Fiesole, che altrove furono esposte con tal titolo alla pubblica devozione. Passato poi qualche tratto di anni, gli eremiti del convento di Fiesole, ove aveva avuto il suo principio la congregazione, implorarono dal generale, che dalla veneta Chiesa delle Grazie fosse tradotta al monastero di Fiesole una qualche insigne porzione del corpo del Beato loro fondatore.

Si assentì dagli eremiti del convento veneziano alle pie istanze, e dissotterrato il venerabile  cadavere ne fu concessa la testa, ed un osso del braccio ai supplicanti religiosi di Fiesole, nella chiesa dei quali furono decorosamente esposte le venerabili ossa fra le altre reliquie dei santi nei giorni più solenni dell’anno, finché essendo poi stata estinta nell’anno 1668 da Clemente IX la Congregazione dei Girolimini di Fiesole, le reliquie del beato Carlo passarono alla Confraternita Secolare di San Girolamo di Firenze, istituita dallo stesso Carlo nell’anno 1410, e vengono tuttavia custodite con particolar venerazione.

Quivi dunque servivano con tranquillità a Dio gli ottimi religiosi; ma riflettendo poscia, che la loro dimora in nel luogo non era stata né permessa, né confermata dall’autorità della sede apostolica, si crederono in necessità di non dover ritenere più la chiesa offerta, se non veniva ciò loro permesso dalla suprema autorità del pontefice.

A questo dunque ricorsero il priore, e la comunità di San Giorgio Maggiore, ai quali era carissimo, che eremiti dalla vita così esemplare abitassero in quell’isola di loro ragione, ed umilmente richiesero, che volesse concedere ai detti eremiti la Chiesa di Santa Maria delle Grazie per loro stabile dimora. Rimise il pontefice Eugenio IV  la cognizione, e la definizione dell’affare all’attenzione del sopra lodato santo vescovo di Castello, il quale nel giorno 15 di Ottobre dell’anno 1439 con autorità di commissario apostolico permise a Corrado e gli altri eremiti della Compagnia del quondam Carlo di Monte Granelo  l’accettare la chiesa ed il luogo delle Grazie, ed ivi perpetuamente abitare, con la condizione di dover a titolo di censo pagare annualmente una libbra d’incenso al Monastero di San Giorgio Maggiore. Ottenuta dunque a favore dei poveri eremiti la facoltà di poter ricevere per loro stabile permanenza l’isola delle Grazie, il priore e gli altri monaci di San Giorgio Maggiore capitolarmente adunati con pubblico istrumento nel giorno 15 del susseguente dicembre istituirono rettore, e governatore del luogo di Santa Maria fra Corrado Armani eremita di San Girolamo, ed a nome della di lui congregazione l’investirono del possesso attuale, e corporale così della chiesa, che delle abitazioni tutte dell’isola.

Mentre dunque in tale luogo canonicamente da loro posseduto si esercitavano gli esemplari religiosi nei santi esercizi dello stato religioso, promovendo il divino culto, volle Iddio consolare la loro pietà con un singolar favore, che registrato si legge in un antico documento. Circa il tempo presso, in cui fu nell’isola introdotta la novella congregazione, giunse a Venezia proveniente da Costantinopoli un vascello, che aveva seco una divina immagine di Nostra Donna, comunemente creduta pittura di San Luca evangelista tolta segretamente in Costantinopoli, e nascosa nella nave. Fermatosi il vascello nell’acque del canale chiamato Orfano per riguardi soliti di sanità, videro i marinai per più notti in mezzo dell’isola, allora nominata di Santa Maria della Cavana, uno splendore straordinario, che vibrava a diritta linea luminosi raggi verso la loro nave, onde ammirati di tal prodigio esposero la sacra immagine con venerazione vicino all’albero maggiore della nave umilmente pregandola di darle qualche indizio del lume miracoloso. Mentre dunque imploravano la cognizione del divino volere, videro la tavola della sacra immagine riverberata dal prodigioso splendore, ed il vascello tutto circondato di luce, e riseppero per relazione, che il lume apparso sopra la chiesa era a guisa di cometa pendente, compresero perciò tosto esser disposizione divina, che la sacra immagine fosse collocata nella chiesa dell’isola dedicata alla Madre di Dio.

Erano la maggior parte della gente imbarcata sopra la nave miserabili schiavi fuggiti per divina misericordia dalle mani dei Turchi, perloché fecero chiedere ai religiosi abitanti nell’isola di poter fabbricare nella loro chiesa una cappella ad onore di Maria Vergine, acciocché in essa venerare si dovesse con decenza la sacra immagine, come l’esigevano gli indizi celesti. Ottenuta dunque la permissione, e disposta la cappella, vi fu nel giorno 15 di agosto collocata la venerabile immagine, che cominciò tosto a rendersi benefica ai suoi devoti con una prodigiosa quantità di miracoli. Scrivono alcuni essersi in tal occasione mutato l’antico nome di Santa Maria della Cavana in quello di Santa Maria delle Grazie; ma questo titolo, come consta da autentici documenti, precedette di molti anni l’arrivo della prodigiosa immagine, e fu quasi un presagio dell’avvenire.

Per cento e ventotto anni circa continuarono gli eremiti della Congregazione di Fiesole a possedere il luogo di Santa Maria delle Grazie, finché avendo nel giorno 6 di dicembre dell’anno 1668. (come si è detto) il pontefice Clemente IX sciolta ed estinta tutta la loro congregazione, furono tutti i di lei monasteri, e beni assegnati in sussidio alla Repubblica di Venezia per il sostenimento del Regno di Candia invaso dai Turchi.

Nello stesso tempo, in cui restò estinto l’ordine dei Girolimini di Fiesole, viveva fra le Cappuccine di Santa Maria del Redentore, dette di San Girolamo, una vergine d’esimia virtù e privilegiata da Dio con abbondanza di grazie, chiamata Maria Felice, nata in Venezia da Giuseppe Spinelli, e Barbara Pizzeti onesti coniugati, per volere dei quali ricevette nel battesimo il nome di Bianca.

Fece ella comparire nelle sue azioni sino dai suoi primi anni tanta inclinazione per la virtù, e propensioni tanto religiose, che ben si vedeva non essere ella fatta per il mondo. Con tutto ciò per ubbidire ai suoi genitori prese in sposo un onesto e pio giovane per nome Lodovico Contenti con la ferma fiducia in Dio, che anche nello stato di matrimonio avrebbe potuto conservarsi vergine intatta, quale appunto desiderava consacrarsi a Dio. Si vide ben tosto, che l’acconsentire a questo sposalizio fu in Bianca effetto della divina provvidenza, perché l’ottimo giovine non solo acconsentì nella prima sera delle nozze d’offrire unitamente con essa la virginità a Dio, ma gustando ad esempio della sua sposa le dolcezze della virtù, si diede ad austerità si eccessive, che pregiudicò alla sua sanità, e nel fiore dell’età fu chiamato da Dio alla remunerazione dei giusti. Sciolta dunque Bianca da qualunque soggezione, e vinte con costanza le insidie di molti, che presi dalla sua virtù, e dalle sue belle qualità l’invitavano alle seconde nozze, si ritirò finalmente nel sopra lodato esemplare monastero delle Cappuccine, ove sotto il nome di Maria Felice professò la primiera regola di San Francesco con tal fervore, che divenne in poco tempo soggetto di ammirazione a tutta quella religiosa comunità. L’umiltà sincera, e profonda, la perfetta mortificazione, l’ubbidienza cieca, e pronta ai comandi dei superiori, e tutte le altre virtù esercitare da lei in grado d’intera perfezione le conciliarono una così alta riputazione, che era acclamata per santa, onde con rigorose prove fu esaminato il di lei spirito, e riconosciuto coi più vigorosi esperimenti quanto fosse grande la costanza dell’eminente di lei virtù. Frattanto il divino Spirito, che aveva gran disegni sopra di lei, l’andava interiormente eccitando all’erezione di un nuovo monastero, in cui la serafica regola si osservasse con straordinario rigore, persoché non potendo ella resistere agli interni impulsi, aprì il suo cuore così al patriarca Giovanni Francesco Morosini, come a molti devoti nobili benefattori del monastero. Questi ai quali era ben nota la santità di Maria Felice allora abbadessa del suo monastero, posero ogni studio per rendere eseguita l’ideata impresa, e benedicendo la Divina Providenza per mezzo di copiose elemosine le loro diligenze, fu stabilito a nome delle cappuccine di Santa Maria del Redentore nel giorno 6 di febbraio dell’anno 1669 per prezzo di 11.500 scudi romani l’acquisto del vacuo luogo di Santa Maria delle Grazie. Diedero riguardevole aiuto per la compera Catarina Spinelli, Ventura sorella della fondatrice, e la nobile matrona Chiara Foscarini Duodo, la quale poscia avendo stabilito di vestirsi cappuccina nel nuovo monastero, per divina disposizione si consacrò a Dio, in altro chiostro, e in di lei luogo con ammirabile risoluzione vestì l’abito, e professò la regola austera di San Francesco nella comunità delle Grazie la di lei madre Marina Tagliapietra Foscarini, matrona avanzata nelle virtù non meno, che negli anni, con tal rigore di astinenza, che non volle esser dispensata dai cibi quadragesimali né meno nella estrema sua malattia, onde Dio ne fece conoscer il merito, allorché dopo morte il di lei corpo consumato dai digiuni, e dalle infermità comparve quasi quale d’una giovane vergine adorno di grazia e bellezza.

Due anni interi s’impiegarono prima, che stabilmente si potessero ridurre le antiche abitazioni dei religiosi Girolimini all’uso di povere Cappuccine, e finalmente nel mese di marzo dell’anno 1671 vi furono introdotte dieci virtuose vergini, per il perfetto stabilimento delle quali già nell’anno precedente aveva ottenuto le solite ecclesiastiche facoltà l’arcivescovo di Cartagine Lorenzo Trotti, allora nunzio pontificio in Venezia. Per eseguire però con solennità la stabilita fondazione, portosi nel giorno 27 di marzo dell’anno 1671 il sopra lodato nunzio apostolico alla chiesa delle Cappuccine di Santa Maria del Redentore, e letto prima il decreto pontificio, ordinò a Maria Felice, e ad un’altra monaca di nome Maria Orsola, che con titolo, ed autorità d’abbadessa la prima, e di vicaria la seconda, dovessero portarsi a governare il nuovo monastero fondato nell’isola di Santa Maria delle Grazie. Fu destinato alla funzione di questo passaggio il prossimo festivo giorno di San Giuseppe, in cui accompagnate da moltissime nobili matrone, e da innumerabile concorso di popolo le due superiore con in braccio la sacra immagine del crocifisso passarono al nuovo chiostro nell’isola delle Grazie, e si portarono direttamente alla vecchia chiesa per adorarvi il Divino Sacramento, e venerar poi la prodigiosa immagine di Nostra Donna ivi religiosamente custodita. Passarono poi all’altra angusta chiesa recentemente eretta secondo l’uso della serafica povertà, ove ritrovarono vestite d’ispido abito, e cinte di fune le dieci sopra lodate vergini disposte con tal modestia, ed in atto così devoto che piuttosto che donne, angeli sembravano in carne umana. Quivi si fermarono tutte in orazione, finché arrivato il legato apostolico ritornarono alla chiesa maggiore, ove ascoltato il Divino Sacrificio ricevettero per mano del Legato medesimo l’eucaristico sacramento. Introdotto poi nei nuovi poveri chiostri quel coro d’innocenti vergini, e letto l’apostolico diploma, che istituiva in essi la clausura, l’arcivescovo legato consegnò il luogo alla direzione e custodia dell’eletta abbadessa, e benedette con tenerezza d’affetto quelle angeliche donne, partì. Nel giorno susseguente all’ingresso Maria Felice vesti le dieci donzelle dell’abito serafico, e le ammise poi alla professione, prescrivendo al loro austero vivere alcune costituzioni, le quali furono poi confermate da Luigi Sagredo prima, e poi da Giovanni Badoaro patriarchi di Venezia. In queste fra gli altri molti austeri precetti viene stabilito un perpetuo quotidiano digiuno ed una astinenza dalle carni, e da latticini, dovendo nutrirsi di soli cibi strettamente quaresimali anche nei casi più gravi di mortali infermità.

Si vide ben presto fiorire un generoso fervore di spirito, e la più edificante regolarità nella nuova comunità animata dall’esempio, e dalle istruzioni della virtuosa fondatrice, la quale dopo undici anni di lodatissimo governo consumata dalle austerità, e dalle fatiche volò agli amplessi del divino suo sposo nel giorno 24 di gennaio dell’anno 1682, sessantesimo primo dell’età sua. (1)

Visita della chiesa (1733)

La prima tavola a mano sinistra e di maniera di Maffeo Verona. La feconda con la Santissima Trinità è del Zanchi. Le portelle dell’organo hanno di fuori l’Annunziata, di dentro i Santi Agostino e Girolamo del Tintoretto. La tavola dell’altare maggiore con Maria e San Girolamo, ed il ritratto di un vescovo è del Palma. Due quadri bislunghi, e due minori con storie della Vergine sono della scuola del Balestra. La tavola poi con San Giovambattista, con due altri quadretti è di Pietro Longhi opera bella. L’altra tavola con la Madonna, e Santi Giovambattista e Agostino è di Bartolommeo Scaligero. In questa cappella vi è un quadro laterale con i Santi Girolamo, Giovambattista, e Giovanni Evangelista, opera veneziana, antichissima, e meritevole maniera. L’ultima tavola poi di casa Valiera è del Palma. Vi sono per chiesa tre quadri l’uno con le nozze di Canna Galilea, che sono a San Giorgio, l’altro con l’Adultera, e l’altro con il Centurione copie tutte di Paolo, il Boschini mette nel refettorio un quadro della gioventù del Tintoretto ma noi non l’abbiamo veduto. (2)

All’uscita si trovava un’altra cappella sacra a San Girolamo, custodita dai confratelli della scuola di San Fantino di Venezia con il solo scopo di seppellire in apposita sepoltura le interiora dei giustiziati, facendovi celebrare “pro loro” una messa solenne ogni anno nel giorno della Maddalena. Soppresso come altri conventi nel 1810, demoliti i fabbricati, si conservarono solo le mura della chiesa, l’isola venne affidata ai militari (3).

Eventi più recenti

Trasformata in polveriera nel 1849, in un incidente saltò in aria quello che rimaneva della chiesa. Fu poi sede di un ospedale per le malattie infettive fino a qualche anno fa. Passata in proprietà dal Comune di Venezia alla Ussl 12 è stata da questa venduta alla Sap Project srl per 10 milioni e 550mila euro, nei piani dei nuovi proprietari una serie di residenze turistico alberghiere.

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) CESARE ZANGIROLAMI. Storia delle chiese dei monasteri delle scuole di Venezia rapinate e distrutte da Napoleone Bonaparte (Arti Grafiche Vianelli Mestre 1962).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.