Basilica di San Marco – Interno
Prima di porre il piede nel tempio, giova richiamare l’attenzione del lettore sulle porte di bronzo interne ed esterne della basilica, le quali, come nota il Cicognara nella Storia della scultura, dimostrano antichissimo l’esercizio in Venezia dell’arte fusoria e dell’orafo. Reca la esterna, alla destra presso la maggiore, la seguente inscrizione:
MCCC. MAGISTER BERTVCCIVS AVRIFEX VENETVS ME FECIT.
e dalla medesima si può dedurre che anche le altre quattro esterne siano opere qui lavorate. Ma quelle di maggior conto, quelle su cui alcuni scrittori rimasero indecisi se siano opera greca, ovvero sulla imitazione dei greci lavorate in Venezia, sono le due interne dell’atrio, cioè quella di mezzo e l’altra a destra dello spettatore. Cicognara crede a ragione, che l’ultima, tutta di bronzo ed intarsiata di diversi metalli con figure e santi greci, con iscrizioni pur greche, sia lavoro non dubbio di Costantinopoli: vuol quella di mezzo opera nostra condotta ad imitazione dell’altra. Di fatti, lorquando si svolgano le antiche carte e memorie, e incontrisa la notizia che dallo spoglio della città di Costantino furono qui recate le porte di santa Sofia, può credersi che la minore appunto potesse esserne una di quelle adattata alla nostra basilica. Che se si guardi la porta di mezzo, con artistico occhio, si riscontra invece un lavoro d’imitazione dell’altra, tanto nelle intarsiature d’argento delle teste, cioè, e delle mani d’ogni figura, come del bronzo, e se si ponga niente alle inscrizioni latine, al nome di chi la fece eseguire, così scritto:
LEO DE MOLINO HOC OPVS FIERI IVSSIT,
si avrà di che giudicarla opera veneziana, tanto più quanto che appunto questo Leone Molino era procurator di san Marco nel 1112, come si ha da Marco Barbaro. In ognuna di queste porte poi vi sono effigiati moltissimi Santi dell’antica e nuova legge, quattro dei quali vennero incisi nella tavola VII, vol. I della Storia di Cicognara.
Ma entrando nell’interno di questa basilica, lo aspetto suo, anche all’uomo il più schivo e lontano dalle sacre cose e dai venerandi riti della cattolica religione, mette in cuore un tremito, un timore della Divinità. Sente egli la distanza che passa fra il mortale e l’Eterno, e conosce che qui compiacersi il Dio dell’Universo di ricevere dalla creatura sua gli omaggi e l’incenso. Questo effetto si deve in gran parte a quella tinta generale che il tempo ha diffusa sulle ricche pareli e sulla quantità degli oggetti; ma più forse si deve all’architettonica simmetria, che può dirsi singolare e lodata. Quindi ognun sente, entrando, la forza del sublime, di quel sentimento che, tutta occupando all’improvviso la mente, la solleva sopra la sfera dei comuni concetti, e tosto conosce aver qui l’arte raggiunto il suo nobile fine.
Il tempio è disposto a croce greca. Sei pilastroni ed altrettante maschie colonne, ornate di capitelli messi ad oro, dividono la nave maggiore dalle due laterali; e per tutta intorno la chiesa gira un ambulacro che accoglie, nelle solenni funzioni, molto popolo. Cinque grandi cupole s’innalzano maestosamente sopra una cornice di marmo, e sono pur esse disposte a croce. La interna struttura mette chi osserva in molta difficoltà di esaminare le preziose cose d’arte che qui sono a larga mano profuse, per cui ci siamo studiali di agevolare, il meglio possibile, le osservazioni nostre colla scorta del Meschinello e di quanti altri scrissero intorno ad esso tempio. (1)
(1) ANTONIO QUADRI. Venezia e le sue lagune Vol II. (VENEZIA, 1847 Stabilimento Antonelli).
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