Chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato vulgo San Marcuola

0
3324
Chiesa di San Marcuola - Cannaregio

Chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato vulgo San Marcuola

Storia della chiesa

In quei sfortunati tempi, che l’Italia tutta era dal furore dei Longobardi con stragi, ed incendi rovinata, gli abitatori della terrestre Venezia ricorrendo come a sicuro rifugio alle Lagune dell’Adriatico, popolarono fra le altre anche due isole chiamate di Luprio, divise però tra esse da un largo Canale, e vi fabbricarono due Chiese Parrocchiali, una dedicata alla Santissima Croce, e l’altra ai Santi Martiri d’Aquileia Ermagora e Fortunato. Viene da alcuni autori di Cronache Venete attribuito il merito della fondazione di questa seconda chiesa alle famiglie patrizie Memma e Lupaniza; ma è più verisimile doversi ciò intendere della nuova rifabbrica eseguita nei principi del secolo XII, allorché un orribile terremoto atterrò molta parte della città, e le acque dei canali scosse da quell’impeto violento gettarono fiamme di vapori sulfurei, dai quali furono eccitati in diverse parti della città improvvisi incendi. Da questa sorpresa anche la Chiesa di Sant’Ermagora fu in poche ore miseramente consumata, restando solo illesa dalla forza del fuoco la venerabile mano del Precursore, la di cui identità fu mirabilmente autenticata con tal prodigio.

Rifabbricata dalla pietà dei fedeli la chiesa fu poi nella domenica prima dopo l’ottava del Corpo di Cristo dell’anno 1332, con grandiosa solennità consacrata da Angelo Delfino Vescovo di Castello, unitamente con due altri Prelati, Marco Morello Vescovo Domocense, e Tommaso Foscarini Vescovo di Tine, dedicandola a Dio sotto l’invocazione di Maria Vergine Santissima, dei Santi Ermagora e Fortunato, e del Beato Giovanni Battista, la di cui destra si conserva in detta chiesa. Come questa sacra reliquia, la quale unica fra tutte le preziose reliquie della città soleva, per attestato del Sabellico, portare nelle processioni coperta da baldacchino, pervenisse a questa chiesa, deve prendersene il racconto da più remoti principi.

Dopoché i discepoli del Precursore riposero il sacro di lui corpo nel particolare monumento, che secondo l’opinione comune degli scrittori situato era nella città di Sebaste, quivi riposò venerato dai fedeli sino ai tempi dell’Apostata Giuliano, che occupato avendo dopo la morte di Costanzo l’impero dichiarò atroce guerra al nome, ed ai seguaci di Cristo. Animati allora dalla perfidia dell’imperatore i pagani credendo di apportare un gravissimo danno alla Religione Cristiana, gettarono nel fuoco le sacre ossa di San Giovanni Battista, la maggior parte delle quali però (come da Teodoreto e Rufinno trasse il Dandolo nella sua Cronaca) fu da alcuni devoti Monaci Gerosolimitani raccolta, e poi da Teofilo Patriarca d’Alessandria onorevolmente collocata in un tempio prima profanamente dedicato a Serapide, e poi purgato dall’immondezze del gentilesimo, e con cattolico rito consacrato al vero Dio.

Avvenne poi per Divina disposizione, che dopo molti secoli arrivasse ad Alessandria un veneto patrizio di nome Andrea Memmo, il quale da Atanasio Patriarca ottenne mediante anche l’intercessione del Patriarca di Gerusalemme in dono la mano di San Giovanni Battista, e trasportata avendola a Venezia, nella Chiesa di Sant’ Ermagora sua Parrocchia, eresse ad onore del Precursore un decente altare, e nella di lui mensa nascostamente secondo la gelosia di quei tempi ripose la venerabile destra. Segui la traslazione della sacra reliquia nei principi del secolo XI, e per la devota riverenza, con cui fu accolta dalla città, fu fino di allora decorata la Chiesa dei Santi Martiri Ermagora e Fortunato anche col titolo di San Giovanni Battista; come si legge in un antico documento dell’anno 1070, col quale Domenico Stornato offri alcune sue rendite alla Chiesa di Sant’Ermagora e di San Giovanni Battista di Luprio.

Trascorso poi dal fortunato acquisto qualche tratto di anni, Vital Michele Vescovo Castellano dubitando, che forse non perisse col lungo corso dei tempi la memoria di un tanto tesoro, stabilì nell’anno X del Dogado di Ordelafo Faliero, che fu di Cristo l’anno 1112 di cautamente ricercare nel secreto dell’altare la sacra reliquia. Scelti dunque alcuni dei più prudenti fra i sacerdoti del suo clero, si portò alla Chiesa di Sant’ Ermagora, ed ivi a porte chiuse ricercato avendo nell’interno della mensa vi ritrovò in un nobile vaso la venerabile destra del Precursore insieme con alcuni frammenti d’altre di lui ossa.

Al primo spiegarsi del panno di seta in cui involte erano le sacre reliquie, uscì da esse una tale fragranza d’insolito odore, che non solo riempì la chiesa, ma si diffuse ancora per i vicini canali, e per le strade, onde manifestato l’arcano della scoperta, vi accorse numerosissimo popolo, ed onorò Iddio la memoria del suo Precursore con molti, e segnalati miracoli. A questi seguì poi il prodigio già di sopra accennato, ed accaduto nell’anno 1117, quando tra le dilatate fiamme, che consumarono interamente la chiesa, la venerabile destra rimase preservata ed illesa.

Aggiunse poi la nobile famiglia Memma ai due sopra riferiti benefici della rinnovazione della chiesa, e del dono della sacra mano, anche il terzo, offrendo nell’anno 1740, alla stessa sua parrocchiale il sacro corpo di Santa Memmia Martire tratto dai sacri Cimiteri di Roma unitamente con l’inscrizione sua sepolcrale.

A queste cospicue reliquie, delle quali è ricca questa chiesa, aggiungere vi si devono un dito di Sant’ Ermagora Martire Titolare, ed un articolo di Sant’Andrea Apostolo; la mano di Santa Teodosia Vergine e Martire, ed il corpo di San Fortunato Martire dalle Romane Catacombe trasferito a Venezia.

Durò per circa sei secoli dopo la prima sua rinovazione questa chiesa, finché dopo il principio del secolo XVIII, minacciando pericoli di non lontana rovina, nell’ anno 1728 cominciò a rinnovarsi, e per assidua diligenza di Bartolommeo Trevisano di lei Piovano, fu in più dilatata e grandiosa forma rifabbricata dai fondamenti, e poi nell’anno 1737 ottenne il decoro dell’Ecclesiastica consacrazione per mano di Francesco Antonio Corraro dell’Ordine dei Cappuccini Patriarca di Venezia.

Unitamente con la chiesa fu riedificato anche il vecchio Oratorio dedicato a Gesù Crocifisso, ove suole esercitarsi in esemplari opere di Religione una devota Confraternita, di cui particolar impegno è il condure all’ecclesiastica sepoltura i cadaveri di quei miserabili, che si ritrovano sommersi nell’acqua. (1)

La visita della chiesa (1839)

Un oratorio contiguo alla chiesa c’è pure addetto alla menzionata confraternita del Crocefisso, e che ora porta il nome dell’Addolorata per un’immagine trasportatavi dalla chiesa dei Servi. Chi entra nella chiesa per contiguo oratorio vi vedrà alcuni quadri del passato secolo, chiamati di nessuna considerazione da chi non sa come nel cattivo si trovi il buono, e come in cose applaudite non si trovi né buono né cattivo. Per chi sa l’arte vi avrà invece in essi qualche cosa da trarre profitto. Esprimono la passione di Gesù Cristo, e quello alla sinistra specialmente con la Deposizione, è di tanto grandioso partito che chi si facesse a correggerlo nelle anfanate sue forme, riserbando in tutto l’alta sua protezione generale vedrebbe che cosa ne uscisse.

Statue, anziché tele dipinte, sono le immagini dei Santi venerati sugli altari di questa chiesa. Entrando perciò per il detto oratorio vedremo alla sinistra: primo altare Sant’Antonio, secondo altare San Giambattista; indi, trascurati i quadri di poco conto ornanti all’intorno il seguente pulpito sinistro, si scorgerà nel terzo altare la Beata Vergine e nel quarto San Pietro. Viene l’altare maggiore la cui tavola con l’Assunzione è dipinta da Francesco Migliori, il quale nel soffitto di questa cappella, di forza e di effetto, fece le turbe fameliche satollate nel deserto. I due gran quadri laterali della cappella medesima, l’uno con la Lavanda dei piedi e l’altro con la Cena, sono copie tratte da Jacopo Tintoretto.

Passando ad osservare le statue dei restanti altari vedremo nel quinto altare Sant’Antonio, e nel sesto San Gaetano. Succede il pulpito destro, sopra il quale è di Carlo Loth il Cristo che va al Calvario. Di Alvise dal Friso è il quadro bislungo con Cristo all’Orto al fianco sinistro, e del Palma il Giovine quello ad esso sottoposto con il Salvatore tra due devoti, ritratti dall’originale. Al destro fianco è pure di Alvise dal Friso il quadro bislungo con Cristo tradito da Giuda nell’orto, ed è della maniera di Tiziano quello sottoposto con Cristo bambino fra i Santi Andrea e Caterina. Fu restaurato questo ultimo, e basta. Però c’è ancora tanto da far meditare l’intelligente; soprattutto nella sua correzione. Stanno sugli ultimi due altari le statue di San Giuseppe e di Sant’Elena. Tutte queste statue non partono è vero dai tipi dell’Antinoo, della Flora, ec.; ma chi sapesse far le debite sottrazioni non le troverebbe spregevoli affatto.

Addette furono a questa chiesa, oltre la scuola del Santissimo quella della Beata Vergine delle grazie, quella di San Giambattista; quella delle arti dei lavatori di lana sotto il titolo del Rendentore, dei tessitori sotto quello di Sant’Elena, e dei pattioro sotto quello di San Gaetano; ma sovra tutte emergeva la scuola ricordata del Crocifisso, Una delle nove celebri congregazioni del clero veneto si è ancora qui instituita sotto l’invocazione dei Santi Ermagora e Fortunato nel 1145, la quale, insieme alle altre, è tuttavia sussistente in questa chiesa. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.