Chiesa e Monastero di Santa Maria della Consolazione vulgo della Fava

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Chiesa di Santa Maria della Consolazione - Castello

Chiesa di Santa Maria della Consolazione vulgo della Fava. Monastero di Preti dell’Oratorio di San Filippo

Storia della chiesa e del monastero

Fu studio particolare della civile e ricca Famiglia Amadi, il procurare per quanto poteva l’aumento del culto verso la gran Madre di Dio. A tal oggetto espose essa alcune immagini della Santissima Vergine sopra dei muri di case private, in vista della pubblica strada, onde più agevolmente si eccitasse la divozione dei passeggeri a riverirle. Dimostrò con più di un contrassegno Maria Santissima di gradire il pio affetto, e fece che una di queste immagini affissa non lungi dalla casa di essa famiglia, nella parrocchia di San Leone, risplendesse per molti ed illustri miracoli. Divulgatasi la fama di tante prodigiose grazie ottenute, perché ciò non fosse creduto un fanatismo del volgo, comandò prudentemente nell’anno 1480 Maffeo Gerardi, patriarca dl Venezia, che se ne formasse severo processo, in cui per certa deposizione di accreditati testimoni, fu rilevata la verità delle miracolose guarigioni ottenute. Accresciuta dunque essendosi dopo ciò la divozione del popolo, Luigi Amadi, ed Angelo di lui nipote, assistiti da Francesco Diedo, Francesco Zen, e Marco Soranzo pii Patrizi, ricorsero al patriarca Gerardi per impetrare la facoltà d’innalzare un oratorio, ove la sacra immagine fosse decentemente riposta, obbligandosi unitamente di mantenervi per la decente ufficiatura due sacerdoti, i quali senza cura alcuna di anime, dovessero, insieme con la cappella, dichiararsi esenti da qualunque soggezione della contigua chiesa parrocchiale. Assentì all’istanza il buon patriarca, e con suo decreto segnato nel giorno 10 di novembre 1480, permise dipendentemente dall’oblazioni esibite, l’erezione della cappella, di cui fra gli altri istituì perpetui procuratori tutti i discendenti dalla famiglia Amadi.

Ottenuta dunque la permissione dell’ordinario, fu eretta coll’elemosine offerte dai devoti una cappella, non molto grande, ma ben ornata, che dal vicino ponte, detto delle Fave, fu denominata la chiesa della Madonna della Fava, in cui fu trasportata, e decorosamente riposta la prodigiosa immagine. Rinunziarono poi dopo alquanto tempo al carico assuntosi i procuratori della cappella, consegnandone le chiavi in mano del patriarca Antonio Contarini: perlochè la provvidenza del dominio nell’anno 1515, eccitò lo zelo del patriarca stesso a dovere, quanto più presto fosse possibile eleggere procuratori idonei al governo e custodi dei denari, robe, e beni di detta cappella. Non mancò alla propria pietà il zelante prelato, e nel giorno 5 di luglio dello stesso anno destinò tre nobili, e due cittadini alla custodia di essa cappella, ed amministrazione dei beni, riservandosi la facoltà, in caso di vacanze, di sostituire altri procuratori il che fu esattamente osservato anche dai patriarchi successori. Per la diligenza dunque dei procuratori, essendosi accresciuto il culto e la divozione verso la sacra immagine, Giovanni Trevisano patriarca concesse nell’anno 1572, che a solo oggetto di adorazione potesse all’altare di detta cappella conservarsi in decente tabernacolo l’eucaristico sacramento, che vi fu per la prima volta riposto nel giorno 2 di luglio per mano dello stesso patriarca; di cui permissione fu poi da Giulio Superchio vescovo di Caorle nel giorno 12 di maggio dell’anno susseguente solennemente consacrata la chiesa dedicata a Maria Vergine della Consolazione, sotto il titolo della sua Visitazione a Santa Elisabetta.

Diede nuovo eccitamento alla divozione dei fedeli verso questa chiesa l’apostolica liberalità del pontefice Gregorio XV, il quale nell’anno 1621 ne dichiarò privilegiato l’altare, e poi nell’anno susseguente concesse plenaria indulgenza a chi nel giorno del mistero titolare, cioè della Visitazione di Maria Vergine, visitasse la chiesa.

Continuarono in tanto sacerdoti secolari, eletti dai procuratori, ad ufficiare la chiesa con titolo di cappellani, l’ultimo dei quali fu Ermanno Stroissi, piissimo sacerdote veneto, sostituito a Pietro Armanno ancor vivente, il quale dopo aver per oltre trentacinque anni con esemplare pietà assistito alla chiesa, finalmente consumato dalle fatiche, e dagli anni chiese, ed impetrò, che li fosse assegnato per coadiutore il soprallodato Ermanno, di cui conosceva a fondo la virtù. Destinato dunque questo per cappellano attese con fervore, non solo al decoro della chiesa, ma ancora al bene spirituale dei prossimi, nei quali santi esercizi si acquistò due illustri compagni, Agostino Nani, già Senatore riguardevole, e poi piissimo sacerdote, e Giovanni Battista Bedetti, condotto dal piccolo castello di San Marino a Venezia dalla divina provvidenza, che ivi lo destinava ad adempire i suoi disegni.

Raccolti in una casa con concorde volontà questi tre esemplarissimi sacerdoti, pensarono ad introdurre in Venezia il soave ed utile istituto dell’oratorio, fondato da San Filippo Neri, ed ottenutane nel giorno 10 di giugno dell’anno 1662 la pubblica permissione dal senato, ricorsero poi all’autorità del patriarca Giovanni Francesco Morosini, perché loro permettesse il fondare in Venezia una congregazione dell’Oratorio. Pensò saviamente il prelato, che la nuova fondazione avesse ad essere non solo di decoro alla città, ma di vantaggio ancora alle anime della sua greggia. Perciò di buon animo concorse ad accordare quanto chiedevano: concessione che fu poi confermata nel giorno 21 di novembre dell’anno 1674 dall’apostolica autorità di Clemente X, che arricchita la nuova Congregazione di molti privilegi, la dichiarò soggetta alla giurisdizione dei patriarchi di Venezia. Frattanto continuava in riguardo alla chiesa la soprintendenza dei procuratori, dei quali gli ultimi furono Marin Grimani, figlio di Almorò, e Giovanni Battista Corner, figlio di Tommaso, senatori illustri, ed affezionatissimi all’istituto di San Filippo; il primo dei quali dopo una vita esemplare nel secolo, si fece figlio di San Filippo nella congregazione dell’oratorio di Brescia, ed il secondo sotto la spirituale disciplina del soprallodato P. Giovanni Battista Bedetti, risplendette nello stato di secolare con virtù da religioso, e santamente nell’anno 1709 passò al signore.

Sino ai principi del susseguente secolo XVIII dimorarono i pii sacerdoti, e gli altri pure, che si aggregarono alla nascente congregazione, in angustissima casa, esercitando nella ristretta loro chiesa le sacre funzioni, e gli esercizi dell’istituto con grave incomodo loro, e con dispiacere del popolo, che frequente vi accorreva. Onde nell’anno primo del secolo pensarono alla nuova fabbrica di una più spaziosa chiesa, ed alla dilatazione pure della casa, resa ormai incapace di contenerli. Ottenutane dunque la pubblica permissione, intrapresero prima l’erezione della chiesa, nei di cui fondamenti con solenne funzione pose la prima pietra benedetta nel giorno 5 di agosto 1705 Giovanni Badoaro patriarca di Venezia.

Si lavorò un decennio nella struttura della nuova chiesa, in cui si celebrò la prima messa da Domenico Sonzonio, prete dell’oratorio, nel giorno 11 di dicembre dell’anno 1715, e fu poi arretrata l’antica cappella per render più spaziosa la piazza avanti la nuova chiesa. Venne poi questa nel decorso adornata di ben intesi altari, e di grandioso tabernacolo, formato di preziosi marmi. Ma il maggior suo decoro lo riconosce dall’abbondanza, e qualità delle reliquie ad essa donate. Due frammenti del prezioso legno della Santissima Croce, dei quali fu provata l’identità col tormento del fuoco; alquanti capelli della Vergine Madre di Dio, ed un piede incorrotto del gran martire San Mamante, reliquie trasportate da Candia a Venezia nella funesta perdita di quella città. Furono dal doge Francesco Morosini, già capitan generale in quell’infelice regno, donate alla pia matrona Regina Giustinian Morosini sua cognata, e per di lei offerta passarono nell’anno 1690 a questa chiesa approvate poi dal soprallodato patriarca Badoaro, perché esporre si potessero alla pubblica venerazione. Egualmente prezioso dono fece nell’anno 1693 lo stesso doge ai sacerdoti del veneto oratorio, concedendo loro una intera sacra spina della corona del redentore, tratta essa pure di Candia, acciocchè non fosse profanata dai barbari. (1)

Visita della chiesa (1839)

La pala del primo altare, esprimente Sant’Anna e la Beata Vergine è bella opera di Giambattista Tiepolo. Si Osserva alla scelta delle linee nella composizione totale; osservazione che pur dovrà farsi sul maggior numero delle pale di questa chiesa eseguite nella quinta epoca pittorica che, come altrove si è detto, aspirava a dar grande armonia alle opere mercè le linee ben combinate, né rimaneva contenta di gruppi staccati senza relazione all’unità generale. E quanto poco costò a Tiepolo nella pala presente il raggiungere siffatta armonia ed un avanti-indietro si dotto! Le bianche vesti della vergine fanciulla staccano affatto il volto della Sant’Anna; li angeli posti in penombra nell’alto e lumeggiati solo di una luce riflessa lasciano il fulgore della luce più viva alla Vergine che perciò spicca sovra ogni altro oggetto, restando San Gioachino in atto di adorare i misteri che si stanno compiendo tutto nell’oscuro in disparte; Per tali pregi, e per un certo amoroso colorito vuol essere notata la pala dell’altar susseguente colla Visitazione di Sant’Elisabetta, opera di Jacopo Amigoni. Scioglie Maria il labbro al Magnificat: la Sant’Elisabetta venera i sublimi sensi che escono dalla bocca della madre dell’Altissimo; San Giuseppe genuflesso è preso da un senso di ammirazione. Questo quanto all’ espressione; quanto poi al magistero di quelle pieghe rade e grandiose; quanto ad ottener il distacco più compiuto di ogni cosa colle tinte più leggere sono considerazioni che l’artista non preterirà certamente dinanzi a pala si graziosa, e, se privo dei pregiudizi sarà inteso ad accogliere il bello da tutto, abbandonando i difetti e le necessarie conseguenze delle opere umane un profitto certo ricaverà anche da questa e dalle opere somiglianti del secolo trascorso.

Giambattista Cignaroli fece la tavola del terzo altare con Nostra Donna ed il Beato Gregorio Barbarigo. Il secolo trascorso tanto protei forme nei suoi assunti, altro ottimo saggio offre di se stesso in questa pala del Cignaroli. Qual anima è sì disgraziata da non sentire il morbido delle carni dei fanciulli e delle donne quivi raffigurati! Chi è si ignaro da non riconoscere tosto l’economia posta dal pittore nel mettere ritta la Vergine, genuflesso il Beato Gregorio che si toglie più facilmente dalla tela, mercè l’acclito vestito di bianco che sta dopo di lui e si bene si unisce col gran piviale a tutto il resto degli astanti pei quali prega con tanto amore, che nella bocca di lui ne senti quasi la sommessa voce; e negli occhi ne vedi le lagrime? Cara opera!

La cappella maggiore bella per ottime proporzioni ed ornata vagamente fu eseguita col disegno di Giorgio Massari. All’altro lato della chiesa la pala con Cristo in Croce è una delle deboli fatture di Gregorio Lazzarini. Bella opera però è la pala del secondo altare di Giambattista Piazzetta con Nostra Donna e San Filippo in atto di celebrare. Lo abbiamo già detto altrove; Piazzetta esagerava, ma chi osserva le opere di lui con occhio imparziale alta scienza saprà trovarvi, nobili documenti.

Nell’ultimo altare da Domenico Vicari si fece recentemente la pala con San Sebastiano Valfrè che esercita opere di pietà verso i poverelli. Certo gran ricchezze pose il Vicari a trarre ogni cosa dal vero. Peccato che il desio delle ricerche particolari, cosi comune al nostro tempo, faccia dimenticare i grandi assunti generali sì nella combinazione delle linee e sì nella disposizione delle tinte!

Giuseppe Bernardi, detto Torretto, eseguì finalmente le otto statue di marmo esprimenti i quattro dottori ed i quattro evangelisti e forse eseguiva gli altri superiori bassi rilievi con azioni di San Filippo. Dal 1. alla destra il santo si raffigura in contemplazione; dal 2. accinto a liberare un ossesso; dal 3. indirizzato da un angelo a Roma; dal 4. in estasi; dal 5. illuminato dallo Spirito 5anto; dal 6. prostrato al Battista; dal 7. moriente; dal 8. liberante un sommerso dalle acque.

Bella è la tavola di Jacopo Amigoni nella sacristia con Nostra Donna venerata da San Francesco di Sales. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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