Chiesa di Sant’Antonino Prete e Martire vulgo Sant’Antonin

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Chiesa di Sant'Antonino - Castello

Chiesa di Sant’Antonino Prete e Martire vulgo Sant’Antonin

Storia della chiesa

Allorché passò da Malamocco circa i principi del VII secolo, la nobile famiglia Badoara insieme con la sede ducale, da essa per lungo tempo poi occupata, ad abitar in Venezia, diede molte e ragguardevoli testimonianze di sua religione, erigendo in diverse parti della città monasteri, e chiese, fra le quali annoverano il Sansovino, e il Sabellico, e molti dei veneti cronologi la parrocchiale Chiesa di Sant’Antonino prete e martire, di cui apporta, la memoria il martirologio romano al giorno 2 di settembre. A decoro di questa chiesa fu dappoi trasportato dall’oriente l’incorrotto corpo di San Sabba abbate, che meno eremitica vita nella Cappadocia, ed illustre per santità fu in vita, e dopo morte glorificato da Dio con stupendi miracoli. Variano gli scrittori delle cose venete nell’assegnare il tempo di tal traslazione, ed in una nota apposta al margine della Cronica di Andrea Dandolo doge, nel codice Ambrosiano, viene riferito, essere ella seguita al tempo di Marino Morosini doge, che fu eletto nell’anno 1249.

Differente Marin Sanuto nella sua Cronaca, asserendo essere stato il venerabile corpo condotto a Venezia sotto il Doge Tribuno Memo eletto nell’anno 979, e dopo la vita di Pietro II Orseolo doge stende una storia latina di tal trasporto, che mostra essere stata tratta da codice più antico, e che si conserva ancora nella matricola della confraternita istituita ad onore del santo abbate. La sostanza di tale documento è la seguente.

Pietro Centranico, che poi fu doge di Venezia, essendo con la propria nave per affari mercantili in Costantinopoli, osservò, che in una chiesa si custodiva il corpo di San Sabba abbate. Onde con quantità di soldo corruppe il sacerdote custode, il quale appostata una notte di torbido e piovoso tempo, si accostò all’arca per indi trarne il venerabile deposito; ma sorpreso nell’atto di toccarlo da repentino tremore, si trattenne dall’intrapresa. Erano presenti il mentovato Pietro Centranico con due figli, e due servi, che pieni di fiducia si accostarono al sacro corpo, e facilmente trattolo dall’arca, tutti lieti lo condussero alla nave già preparata alla partenza, e in poco tempo approdarono felicemente alla patria. Volle il Centranico con solenne pompa del clero, che invitato l’accompagnava, deporre quel sacro pegno in sua casa nella contrada di Sant’Antonino: ma quasi dinotasse egli di voler essere collocato in luogo più decente e sacro, si rese immobile, né più fu valevole forza umana a distaccarlo dalla nave, in cui si era fermato. Si aggiunse a questa un’altra non men grande meraviglia, che le campane della vicina torre di Sant’Antonino, senza essere tocche da alcuno risuonarono così altamente, che ben diedero a conoscere, essere divino volere, che il sacro corpo nel vicino tempio venisse deposto. Si ubbidì dunque alla divina disposizione, e tosto che il corpo del santo abbate fu depositato sull’altare maggior della chiesa, cessarono dal prodigioso lor suono le campane, ed apparve sopra esso corpo una bianca colomba, che vi dimorò immobile, finché furono cantati a Dio i dovuti rendimenti di grazie. Successo la traslazione nel giorno 5 di dicembre dell’anno 911, e poco dopo il Centranico fu elevato al trono ducale della sua patria, che governo cinque anni, e morendo volle essere sepolto nella chiesa di Sant’Antonino, avanti la porta della sacristia. Glorificò poi il Signore questo santo suo servo con molti miracoli, mentre invocato da due veneziani schiavi dei turchi, visibilmente loro apparve, ed infranti i loro ceppi li liberò dalla prigione, e dalla morte, a cui erano già destinati. Così pure sperimentarono la forza di sua intercessione altri, che a lui ricorrendo o restarono sanati da malattie incurabili, o liberati da maligni spiriti, che li possedevano.

Tale è il racconto apportato dal Sanudo, che non avvertì, essere stato Pietro Centranico eletto doge nell’anno 1026 e vale a dire cento e quindici anni dopo il trasporto da lui fatto del santo corpo; onde è, che per questo anacronismo, e per le strepitose meraviglie, che sono taciute dagli altri storici, non merita un tal documento molta fede.

Comunque però sia la verità del tempo, in cui seguì il prezioso acquisto, certo è, che con continue grazie impartite ai devoti fa veder Iddio, quanto sia valida l’intercessione del santo abbate, esperimentata in questi ultimi tempi, cioè nell’anno 1729 dal Rev. P. Ippolito Carrara arciprete di Solto, diocesi di Bergamo, il quale si sentì guarito da una dolorosa attrazione di nervi, che lo rendevano inabile al moto, nel baciare con fede e divozione la croce di San Sabba conservata nella chiesa di Sant’Antonino. È questa una croce di legno, che per tradizione si dice fatta per mano del santo abbate nel deserto, e di cui si serviva per risanare benedicendo gli infermi. Fu questa portata a Venezia col santo corpo, che si vede tuttavia vestito di quei rozzi abiti, che adoperava vivente.

Tutto ciò abbiamo dalla tradizione ma la nobile famiglia Tiepolo, che per collocare il venerabile corpo, eresse nella chiesa di Sant’Antonino una magnifica cappella, si gloria, essere stato uno dei suoi antenati quello, che arricchì la patria, e la chiesa di un sì pregiato tesoro: del che e ne legge incisa in marmo nella cappella stessa la memoria. Ad onore del prodigioso eremita permise il Consiglio di Dieci, che si istituisse nella chiesa di Sant’Antonino una devota confraternita, e nel decreto emanato in data del giorno penultimo di luglio dell’anno 1389, rende una distinta testimonianza agli infiniti miracoli, con i quali il santo soccorse i suoi devoti nelle malattie, e massimamente nelle pestilenze; che però si annovera fra i principali protettori contra il flagello terribile della peste.

Col corso degli anni andò talmente indebolendosi l’antica fabbrica, che molto faceva temere di sua non lontana rovina. Per cui il piovano Niccolò Brunelli circa la metà del secolo XVII, accorrendo alla parte più bisognosa, procurò che fosse rinnovata la cappella maggiore con le due laterali, ed il di lui successore Domenico David fece compir la rifabbrica dell’intera chiesa, e dell’unito campanile. Fu poi eretta in collegiata l’anno 1711, essendo stata per l’avanti amministrata e officiata dal solo Piovano.

Si conservano in essa chiesa con particolar venerazione un articolo del prodigioso vescovo di Trimitunte Santo Spiridione, ed un osso di Sant’Ilarione abbate. (1)

Visita della chiesa (1815)

Questa chiesa ad una sola nave fu alzata in sulla fine del secolo XVII. Da poco abile pennello si dipinse a fresco nel soffitto l’incontrarsi dei due santi Antonino e Sabba.

Nella cappella alla sinistra della maggiore la tavola con Sant’Antonio di Padova, malamente ristorata, tiene la epigrafe Gioseffo Enz 1664.

Nella cappella maggiore la tavola dell’altare con il martirio del santo è opera poco pregiata d’incerta maniera del secolo XVII.

Il quadro alla sinistra di chi guarda con il Giudizio Universale porta la epigrafe Gioseffo Ens d’Augusta 1661.

All’altra parte è opera, ben più assai spiritosa, di Pietro Vecchia, il quadro con Noè usclto dall’arca in atto di sacrificare.

Sull’ altare in sacrestia vi è una pregevole tavola di maniera moderna, con Nostra Donna con il Bambino, San Giovanni Evangelista, San Giuseppe e San Filippo Neri. Sopra il lavatoio vi sta un quadro sulla maniera del Palma con Nostra Donna col Bambino, San Giuseppe, San Giovannino ed un ritratto.

Nella cappella che segue, tutta con opere di Jacopo Palma, ve ne è alcuna degna di essere osservata. Sull’altare vi è San Sabba portato in cielo dagli angeli. Nella mezza luna sopra l’altare vi è il Padre Eterno in gloria; e nella mezza luna in faccia alla finestra un miracolo operato dal santo. Nel vólto vi ha quattro piccoli comparti, in uno dei quali si veggono due santi martiri, in un altro due sante, nel terzo San Girolamo e una santa monaca, e nel quarto altri due santi, siccome quelli, di cui si conserva in questo altare una qualche reliquia. Nei quattro quadri laterali si rappresenta alla destra di chi guarda e la morte del santo e la traslazione del suo cadavere, dov’è dipinto il prospetto della piazzetta, e alla sinistra due fatti della sua vita. A questa parte vi è con onorevole iscrizione, travagliato dallo scalpello di Alessandro Vittoria, il busto del procuratore Alvise Tiepolo, morto l’anno 1590, che devoto aveva fatto erigere questa sì bene intesa e ben ornata cappella.

Nell’ultimo altare è opera di Antonio Zanchi, fatta l’anno 1681, la tavola con i santi Giambattista e Lodovico re di Francia al piano, e il vescovo San Liborio nell’alto. Ai lati di questo altare vi è due ornate epigrafi in marmo alla memoria di Lodovico e di Giambattista Vidali, morti nel secolo XVII, che fecero dipingere nella tavola i santi del loro nome.

Il Campanile venne alzato alla metà del secolo scorso, giacché il parroco Antonio Fusarini, morto l’anno 1762, è chiamato nella pietra sepolcrale Sacrae auctor turris. (2)

Eventi più recenti

Il procuratore Alvise Tiepolo, gloriandosi di scendere da chi aveva arricchita la patria di tal dono, ad onore di quel santo eresse una magnifica cappella in questa chiesa la quale, quanto ad arte, è l’unica cosa che in essa sia da essere osservata. Dipinte tutte le tele di codesta cappella da Jacopo Palma, la pala dell’altare rappresenta il santo abate, ed i quadri disposti all’intorno vari fatti della sua vita. Vi è pure il busto del procuratore che nel 1590 faceva erigere la cappella medesima.

Nella concentrazione delle parrocchie (anno 1810) divenne questa chiesa la succursale di San Giovanni Battista in Bragora. Tre scuole di devozione in essa altre volte esistevano: la Beata Vergine del Rosario, San Spiridione composta di nobili e mercatanti greci, la Buona Sorte ed un sovvegno dell’Addolorata, che somministrava ai fratelli d’ambo i sessi sei lire alla settimana e medico come cadessero infermi. (3)

Nel 1964 le reliquie di San Saba vennero restituite, dal beato Paolo VI, al monastero che porta il nome del santo nel deserto presso Betlemme.

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) GIANNANTONIO MOSCHINI. Guida per la città di Venezia all’amico delle belle arti. (Tipografia Alvisopoli. Venezia 1815)

(3) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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