Chiesa e Monastero dei Santi Biagio e Cataldo vulgo San Biasio

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Francesco Guardi. La Giudecca (particolare della Chiesa di San Biagio e Cataldo). Museum Boijmans Van Beuningen

Chiesa dei Santi Biagio e Cataldo vulgo San Biasio. Monastero di Monache Benedettine. Chiesa e Monastero demoliti

Storia della chiesa e del monastero

Riconosce il monastero dedicato ai Santi Vescovi Biagio di Sebaste, e martire, e Cataldo di Taranto confessore, per prima ed unica sua fondatrice, e madre la beata Giuliana nata nel Castello di San Salvatore da Tolberto conte di Collalto, e di San Salvatore, e da Giovanna dei conti di Sant’Angelo nell’anno 1186. Avendo ella sortito dai suoi natali un’indole eccelsa, ed un’inclinazione naturale per la virtù, diede fino dall’infanzia non oscuri presagi di sua santità. Conobbero ben presto nello spirito devoto di Giuliana i di lei genitori, averla Iddio con prevenzione di benedizioni destinata per sé; onde nell’anno 1196, e della di lei età 10 la consegnarono nel Monastero di Santa Margarita di Salarola, monte vicino all’illustre Castello d’Este, di religiose Benedettine. Ivi in quell’anima innamorata di Dio cresceva con la perfezione delle virtù anche l’antipatia al mondo: che però risolta di lasciarlo prima di conoscerlo, vestì l’abito religioso, e professò l’istituto di San Benedetto con tal fervore, che divenne in poco tempo il soggetto dell’ammirazione di tutta quell’esemplare comunità.

Essendosi poi nell’anno 1222 accesa fierissima guerra in Italia, la beata Beatrice, ottenutane la permissione da Giordano vescovo di Padova, si ritirò in Gemola, luogo solitario, e con essa vi si trasferirono in numero di dieci le devote di lei figlie, e fra esse Giuliana destinata da Dio alla fondazione di un nuovo monastero in Venezia. Nunzio del divino volere a Giuliana fu l’illustre martire San Biagio vescovo di Sebaste, che apparsole nel Monastero di Gemola le prescrisse di dover passare a Venezia, ed ivi nell’estremo confine dell’isola chiamata allora Spinalonga, ed ora Giudecca, istituire sotto la di lui vocazione un monastero, e per contrassegno di sua futura dignità le pose in dito un anello.

Nel luogo contrassegnato in visione dal santo erano già fino dal fine del X secolo dalle nobili famiglie Capovana, Pianiga, ed Agnusdei state fabbricate col titolo dello stesso San Biagio una chiesa e una casa ad uso di accogliere pellegrini, che passavano in Terra Santa. Fu la chiesa nell’anno 1188 consacrata, e decorata di spirituali indulgenze da Marco Niccola vescovo di Castello ad istanza di Filippo prete, e degli altri, che in esso Ospitale posto sopra il canale di Dorsoduro servivano giorno e notte al Signore; a Giovanni Signolo allora patriarca di Grado accrescendo la concessione dell’indulgenze, comandò che della seguita consacrazione formato ne fosse pubblico istromento, che fu poi anche inciso in marmo per più durevole ricordanza. In marmo pure scolpite si vedevano nei muri del luogo alcune colombe, dal che ebbe origine la popolar tradizione, che ivi anticamente abitassero i Frati della Colombina. Giunta dunque a Venezia Giuliana ricevette per facoltà ottenutane dal senato in perpetuo dono il già abbandonato ospizio, che dai procuratori di San Marco avvisati in visione (com’è fama) da San Biagio fu con nuova struttura perfezionato ad uso di monastero.

Divulgata per la città la notizia di fondazione sì prodigiosa, molte nobili vergini ricercarono di vestire sotto così santa abbadessa l’abito religioso, ed essa conoscendo quanto giovi per condur le anime alla perfezione il vigore dell’esempio, ordinò in tal maniera ogni sua azione, che servire potesse all’altre di documento, e di norma. Assidua al coro, e a tutti i religiosi suoi impieghi così dirigeva sé stessa, che si distraeva anche dalla dolcezza della contemplazione qualunque volta altrove la chiamasse o il dover del suo carico, o il fervore di sua carità a vantaggio dei prossimi. Per impetrar però dalla divina clemenza i lumi, e gli aiuti aggiunse alle fervorose sue orazioni un’aspra macerazione dell’innocente suo corpo, solita ricoprire l’interno cilicio con una sola e rozza tonaca, e nutrendosi solo di minuto pesce, ed acqua, niente altro concedeva di ristoro al suo corpo, che breve tempo di sonno, che ella prendeva distesa sulla nuda terra.

Quanto fosse grata a Dio l’angelica virtù di Giuliana lo dimostrarono i miracoli. Poiché mancato essendo in un giorno il pane necessario all’alimento delle monache, si rivolse la santa abbadessa piena di fiducia ad implorar la Divina Providenza, comparve nello stresso punto di sua fervorosa orazione alla porta del monastero un giovane sconosciuto, che depositato ivi un coffano pieno di pane immantinente disparve.

Fu questo un miracoloso soccorso ai corpi languenti; ma più ammirabile fu il conforto, che all’anime delle sue religiose impetrò Giuliana. Era in quei tempi circondato il monastero in tal maniera dall’acque, che non era aperta altra strada di portarsi alla chiesa se non quella del tragitto delle barche. Avvenne dunque che nella notte, in cui si celebrava la felice nascita del Redentore, mentre adunate nel coro le monache festeggiavano il gran mistero, insorta una furiosa burrasca vietò al sacerdote l’approdare al monastero, ove doveva celebrare il Divino Sacrificio, e farne partecipi le monache. Addolorata all’estremo la pia abbadessa ricorse all’orazione; col di cui fervore ottenne, che scendesse visibile Gesù Cristo dal Cielo a consolazione delle sue spose. Apparve dunque luminoso nel mezzo del coro un angelo, che portando nelle mani il Bambino Gesù, dopo averne soavemente annunziata la nascita alle devote vergini, lo ripose nelle braccia dell’estatica Giuliana, che poté per qualche tempo sfogare gli affetti del suo cuore col Divino Pargoletto.

Dopo poi altri prodigi altresì contestò Iddio la santità della sua sposa, avendo ella ridotto con la benedizione a perfetta salute il braccio d’una sua monaca infranto in minuti pezzi, ed avendo sciolti i legami, e disserrata la porta della prigione ad un innocente, che lontano invocò la di lei intercessione.

Dopo poi di aver con diligente vigilanza, e santi esempi governata per il corso di trentasei anni la fervorosa comunità delle sue figlie, fu sorpresa Giuliana da acutissimi dolori di capo da lei a miracolo di pazienza tollerati, e per la forza dei quali dopo essere stata munita degli ecclesiastici sacramenti fra tenerissimi atti di carità volò al cielo nel giorno primo di settembre dell’anno 1262, settantesimo sesto dell’innocente sua vita.

Accorse ai funerali frequentissimo popolo, acclamandola tutti per santa, ed implorandone appresso Dio i suffragi di sua intercessione. Il di lei corpo chiuso in una cassa di tavole fu collocato nel comun cimitero delle monache, ove giacque nascosto, finché Iddio volendo glorificare i meriti della sua sposa fedele, fece che nell’anno 1297, cioè trentesimo quinto dopo la di lei preziosa morte, comparissero di notte tempo nel sito della di lei sepoltura luminosissime fiaccole, che a guisa di selle trascorrendo per il circuito del cimitero additavano il luogo, dove giaceva il virginale corpo della beata. Furono quei lumi veduti prima da alcuni buoni pescatori, che ne resero avvertite le monache, e ben presto fu compreso, manifestare con essi Iddio il suo volere, che fosse da così poco decente luogo estratto quel venerando corpo, fede già di un’anima tanto arricchita di celesti doni.

Fu estratta dunque dal sito (in cui ora si vede nel mezzo del cimitero eretta una colonna di marmo) assai basso, ed estremamente umido per la vicinanza del canale, la cassa, in cui si scoperse riposarvi dentro in guisa di chi dorme il sacro corpo incorrotto dal capo fino alle piante senza lesione alcuna, di modo che le cartilagini, e le pellicole degli occhi tanto delicate vi si scorgevano affatto intere ed intatte, e tutt’ora con costante prodigio seguono a mantenersi. Seguì l’invenzione del sacro deposito nel giorno 22 di luglio dell’anno 1297, accompagnata da nuovi prodigi di miracolose sanazioni, onde e per le virtù, e per i miracoli acclamata a voce universale per beata cittadina del cielo, fu l’ammirabile corpo deposto sopra un altare della chiesa a lei dedicato, ove con continuato, solenne, e non mai interrotto culto fu dalla pietà dei fedeli venerato massime nel giorno primo di settembre, in cui seguì il felice di lei transito.

Molti, e chiarissimi sono i documenti dell’antico immemorabile di lei culto, e fra questi durano tuttavia le antiche pitture fatte nei tempi vicini alla di lei morte, fra le quali una che per unanime parere dei pittori si dice fatta o nel fine del XIII, o nei principi del XIV secolo. Questa si esibisce incisa, e con essa il ritratto del sacro cadavere, quale al presente si trova, e forma dell’antica cassa, ove riposò il sacro corpo, fatta dipingere dalle monache secondo la rozzezza di quei secoli.

Rese perciò note tutte queste cose al pontefice Benedetto XIV, lo persuasero a concedere, che il di lei ufficio con lezioni, ed orazioni proprie fosse recitato, e la respectiva Messa celebrata nella città, e diocesi di Venezia, ed in tutti i feudi della casa Collalto.

L’austera osservanza della regola di San Benedetto piantata così mirabilmente dalla beata fondatrice in questo monastero, andò poi con lo scorrere degli anni non poco rilassandosi; perciò per rinnovare nell’intepidite religiose il fervore già estinto, ed introdurre nel sacro chiostro la riforma lo zelante patriarca Antonio Contarini nel giorno 20 di luglio dell’anno 1519, si portò unito agli avogadori del Comune al detto monastero, e congregate le monache soavemente prima, e poi fortemente le avvertì a voler con prontezza abbracciare la regolar disciplina secondo l’istituto del loro padre San Benedetto, e ridonare a quel sacro luogo l’antico splendore, in cui fu fondato. Ricusarono ad una voce ostinatamente d’assoggettarvisi onde fu determinato dal Patriarca, che si dividessero in due parti le abitazioni del monastero, e rinserrate in una di esse le contumaci monache conventuali, introdusse nell’altra quattordici monache tratte dai chiostri osservanti degli Ognissanti, istituendo abbadessa dell’osservanti Cipriana Lando, donna di virtù esimia. Approvò Leone papa X quanto prudentemente per la riforma delle monache aveva operato il buon patriarca, ed il diploma pontificio fu solennemente notificato alle monache conventuali nel giorno 8 del susseguente agosto; dopo di che con decreto patriarcale segnato nel giorno 3 di settembre dello stesso anno furono le monache osservanti nuovamente introdotte dichiarate vere, e legittime padrone del monastero, e delle di lui rendite, delle quali però ne fu assegnata conveniente porzione al mantenimento delle conventuali, finché vivessero. Furono poi nell’anno susseguente per privilegio di Altobello Averoldo vescovo di Pola, e legato apostolico in Venezia, ammesse al godimento di tutte le prerogative ed esenzioni concesse sì al Monastero d’Ognissanti, che a tutte le monache della religione benedettina.

Col lungo tratto degli anni ricevendo frattanto la chiesa nella sua struttura gravissimi discapiti, fu intrapreso fino dai principi del secolo XVIII di rinnovarla, e con gli aiuti della divina provvidenza fu fino dai fondamenti in ornatissima maniera con nobili altari di marmo riedificata, ed all’altare dedicato alla beata Giuliana fu in nobile urna di marmo riposto l’ammirabile di lei corpo. Ad altri altari furono disposte le altre sacre reliquie, delle quali è ricca questa chiesa, e sono: Il corpo di San Gervasio martire estratto dagli antichi cimiteri cristiani di Roma; un osso del braccio di San Biagio vescovo e martire primo titolare della chiesa; alcune ossa dei santi Innocenti trucidati per comando del re Erode; ed una mascella di San Giovanni Grisostomo. (1)

Visita della chiesa (1733)

Questa chiesa ha sette altari ed è ornata da belle pitture. La tavola dell’Altar maggiore con l’Ascensione di Cristo è di un autore moderno (XIX secolo). Una tavola con San Biagio, ed altri santi è del Palma. Un’altra con San Cataldo e due Angeletti è della maniera di Paris Bordone. Nei parlatoi vi sono vari quadri del Palma. Vi è anche un gonfalone con i Santi Biagio, e Cataldo di Girolamo Pilotti. (2)

Eventi più recenti

La chiesa ed il convento quali le ordinava il valente Michele Sanmicheli, servirono ad uso di ospedale per le malattie contagioso sofferte negli anni 1814 e 1816 dalla città di Venezia. Nel 1884 vennero del tutto distrutti quando Giovanni Stucky vi trasferì il suo molino. Il molino che dava lavoro a circa 500 persone venne chiuso nel 1954.

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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