La Scuola (o Sinagoga) Ponentina o Spagnola, in Ghetto Vecchio
Storia del Ghetto
Il trattenersi degli Ebrei in Venezia è antichissimo, trovandosi documenti che li ricordano sino dal 1152. Nel 1394 l’università ebraica venne scacciata da Venezia e confinata a Mestre. Troppo vicina a Venezia è questa località perché un tale confine non potesse essere infranto. Difatti prima alternativamente passavano gli Ebrei quindici giorni a Venezia e quindici a Mestre, e poi al tutto si stabilirono nella città senza essere ristretti in nessun luogo; ma sparsi vivendo per le contrade, dove avevano le proprie sinagoghe.
A differenziare gli Ebrei dai cristiani fu introdotto prima l’obbligo in essi di portare un O di tela gialla, e poi nel 1496 un berretto giallo, cambiato in seguito in un cappello rosso, dal quale erano dispensati nei soli viaggi.
Ma nel 1516, ricondotti gli ebrei legalmente da Mestre a Venezia, fu loro prescritto il domicilio nel Ghetto. Da quel momento il Ghetto si andò sempre più ampliando, instituendosi contemporaneamente le sinagoghe per le varie nazioni. Cinque tali sinagoghe: tre in Ghetto Vecchio, e cioè la Levantina, la Ponentina o Spagnola e la così detta Luzzato, le altre in Ghetto Nuovo e cioè la Grande Tedesca, la Canton e quella Italiana. (1)
Storia della Scuola Ponentina o Spagnola
La più vasta e la più nota delle Scuole (o Sinagoghe) veneziane è quella fatta erigere dagli Ebrei spagnoli (o Ponentini) e portoghesi rifugiatisi nei territori della Serenissima dopo la cacciata dalla penisola iberica nel 1492 e 1498: essi formarono una grossa comunità (si parla di più di 1000 anime) con larghe possibilità economiche e fecero costruire la loro sinagoga nel Campiello de le Scuole, di fronte a quella Levantina, chiamando certamente i migliori architetti che lavoravano in città.
La primitiva costruzione, della seconda metà del Cinquecento (la data è incerta, 1555 o 1584), fu completamente rifatta e restaurata ad opera di Baldassare Longhena o della sua bottega, cui si devono tante scuole e palazzi veneziani. La facciata appare quasi chiusa e costretta dalle case vicine, non ha l’ampio respiro della Scuola Levantina. Sul muro della facciata una semplice lapide ricorda i duecento Ebrei veneziani deportati nei campi di sterminio. Sull’arco del portalo si legge “Beati coloro che risiedono nella Tua casa e che continuamente Ti lodano”. (Salmi, 84, 5) Entrando nell’atrio si trova, a sinistra il piccolo Misdrash che mantiene intatti i caratteri originali di sala di studio e di preghiere.
Accanto, sulla destra, la lunga scala che conduce al matroneo ed un piccolo cortile dove ogni anno la comunità si raccoglie nella succà (capanna che si costruisce per la festa del Succot che ricorda la dimora degli Ebrei nel deserto). Uno scalone che si divide poi in due rampe porta alla sala di culto. La sala colpisce per la sua imponenza e per la sua vastità. Più volte rimaneggiata nei secoli scorsi la Scuola Spagnola mantiene la forma tipica delle Scuole veneziane con l’Aròn e la Tevà poste sui lati brevi ed i banchi che si fronteggiano su quelli lunghi, mentre l’originale matroneo ovoidale raccorda i vari elementi.
L’Aròn hakodesh, circondato da un’elegante balaustra semicircolare con slanciate colonnine e chiusa da un cancello finemente lavorato, è un imponente costruzione con timpano e colonne policrome classicheggianti, sormontato da elementi barocchi ricchi di fregi e dorature. Sulle porte dell’Aròn sono riportati, come nelle altre Scuole, i dieci Comandamenti. Davanti l’Aròn, sul pavimento una piccola lapide ricorda che nel 1848 “una bomba colpì la Sinagoga nella sera di Rosh-ha-shanà (Capodanno) 5609: s’incastrò, ma ebbe pietà”. (2)
(1) Ermolao Paoletti. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).
(2) Giovanna Reinisch Sullam. Il Ghetto di Venezia, le Sinagoghe e il Museo. Carnucci editore Roma 1985
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