Chiesa e Monastero di Santa Maria della Misericordia o Santa Maria Valverde

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Chiesa di Santa Maria della Misericordia - Cannaregio

Chiesa di Santa Maria della Misericordia o Santa Maria Valverde. Monastero di monaci Agostiniani. Monastero demolito

Storia della chiesa

In un sito; che per essere coperto di terreno assai erboso si denominava la val verde, fu fondata una chiesa sotto il titolo di Santa Maria della Misericordia, o da Cesare dei Giuli, detto anche Andreardi, unico fondatore secondo l’opinione del Sansovino, o pure dalle due famiglie dei Giuli e Moro, le quali concorsero unitamente (come scrivono altri cronologi) all’erezione del sacro edificio.

In qual tempo fosse consegnata questa chiesa ad una famiglia religiosa, e quale istituto professasse, ora ci è ignoto, quantunque sia verosimile, che quei regolari fossero dell’Ordine di Sant’Agostino, prima che con ridursi in un corpo prendesse la forma di perfetta religione. Da pubblici documenti si rileva il nome di fra Almerico custode della Casa della Misericordia nell’anno 1282 e nei registri della Scuola Grande della Misericordia all’anno 1308 si legge scritto fra Pietro Civrano priore del luogo di Santa Maria di Valverde Madre di Misericordia, sotto il di cui governo si istituì la pia Confraternita della Misericordia, ora eretta in Scuola Grande, come pure all’anno 1310. Fra Pietro Donare priore della Misericordia, il quale di consenso dei suoi Frati, che in numero di due soli abitavano nel luogo, concesse alla confraternita suddetta un sito preciso, ove fondare l’ospizio. Morì poi nel giorno 1 di maggio dell’anno 1348, nel quale essendogli sostituito nel priorato Bartolomeo Donato, perirono per la peste, che infieriva in Venezia, i religiosi, che abitavano nel luogo della Misericordia, restando solo il priore, che continuò a vivere sino al giorno 25 di luglio dell’anno 1369.

Dieci giorni però prima di morire aveva egli ceduta la sua dignità a Luca Moro, che si legge entrato come priore nell’amministrazione del luogo nel giorno 15 dello stesso mese, e poi nel giorno 30 del susseguente ottobre ammise alla visita dell’ospitale il piissimo patriarca di Grado commissario apostolico, a ciò delegato dall’autorità suprema del pontefice Urbano V. Protestò però in tale occasione il priore di riceverlo in riverenza del pontefice come delegato apostolico, non però in qualità di patriarca gradese, per non derogare in veruno conto né alle proprie, né alle prerogative della famiglia Moro. Si rileva dal documento della visita atta allora dal patriarca, che la nobile famiglia Moro era fondatrice, e padrona dello stesso ospedale.

Accettò il buon patriarca umanamente le giuste protese del priore, ed assicurandolo di dover adempire il solo uffizio di commissario apostolico, intraprese la visita, e con sua sentenza stabilì, che la famiglia Moro fu la prima fondatrice della chiesa, e dell’ospedale, ed aumentatrice delle rendite di essi luoghi; e perciò ad essa appartenere il giuspatronato, cui egli con l’autorità a se concessa assegnava a Giacomo Moro figlio, alla discendenza di Marin Moro della Parrocchia di San Simeone Profeta, dichiarato prima fondatore e padrone della chiesa e ospitale predetti.

Il nominare però Marin Moro, che visse nei principi del secolo XIV, come primo fondatore e padrone, riferire si deve a qualche grandiosa restaurazione e rinnovazione della chiesa, e sorse anche all’istituzione dell’Ospitale, la di cui prima menzione, che si legga nei documenti, fu fatta nel testamento di Giovanni d’Avanzo nell’anno 1324.

Comunque sia del titolo della fondazione, continuò poi sempre pacificamente nella famiglia Moro la giurisdizione di presentare il priore, il quale anche qualche fiata fu assunto da altre famiglie. Uno di questi fu Giacomo Negri sotto il governo del quale nell’anno 1454 Cristoforo Moro, che fu poi Doge di Venezia, essendo Ambasciatore allora appresso il sommo pontefice Nicolò V, ottenne dall’apostolica autorità, che il priorato, l’ospedale, e i poveri, e ministri d’esso fossero dichiarati esenti da qualunque soggezione alla Chiesa Parrocchiale di San Marziale, e loro fossero amministrati gli ecclesiastici sacramenti da un sacerdote scelto dallo stesso priore. Altro priore scelto da estranee famiglie fu Girolamo Savina, egualmente pio che dotto soggetto, in riflesso dei di cui meriti Clemente VIII con indulto apostolico segnato del giorno 27 di maggio dell’anno 1600 concesse che i priori della Misericordia tanto nei sinodi diocesani, nei quali ottengono il secondo poso dopo il patriarca, quanto nei concili provinciali, potessero vestire il rocchetto e l’abito di notai apostolici, e nella propria Chiesa della Misericordia in ogni solennità usare la mitra e le altre insegne pontificali, e concedere al popolo in essa chiesa adunato la solenne benedizione. Preziosa nella faccia di Dio fu la morte di questo illustre uomo. Poiché essendo stato per ingiustissima causa avvelenato da uno scellerato sacerdote nel sacro calice, la di lui più viva premura nella gravità del male, e fra le angustie della vicina morte fu, che al sacrilego suo omicida fosse condonata la colpa; per la qual cosa non cessò mai sino all’ultimo fiato di fervorosamente pregar Iddio, e gli uomini. Morì (come riferisce la di lui iscrizione sepolcrale posta in questa chiesa) nel giorno 9 di giugno dell’anno 1611 in età d’anni cinquanta.

La facciata di marmo, con cui è adornata nell’esterno questa chiesa, fu eretta per comando di Gasparo Moro filosofo insigne, il quale morì nell’anno 1650.

L’ospitale poi, nel quale vivono raccolte alcune povere femmine, è situato contiguo alla chiesa da esse riconosciuta per loro parrocchia. (1)

Visita della chiesa (1839)

La rustica antica facciata di questo tempio fu nel 1659 coperta con marmo d’Istria sul disegno di Clemente Moli, del quale sono pure le due statue, eccedenti il naturale, ed esprimenti la Costanza e la Misericordia ai lati della porta, e la statua di Nostra Signora nell’alto, non che quelle dei due angeli accanto alla lapide che occulta le ceneri di Gaspare Moro, insigne filosofo morto nel 1671, il busto del quale in bianco marmo vi sta sovrapposto.

Ma quando nel 6 luglio del 1828 assunse il prelodato M.r Pianton l’abaziale infula dalle mani dell’E.mo veneto patriarca Jacopo Monica, era sfornita la porta della chiesa non solo d’atrio e di bossola, ma d’ogni interno ornamento. La cappella a destra, cui metteva una sproporzionata grande arcata di cotto, era presso a ruinare, e guasti pendevano da una delle pareti i due dipinti del Bonifacio: il Battista e San Matteo Evangelista. Ridipinta e malconcia si mostrava pure dal logoro altare la Santa Cristina con i Santi Pietro e Paolo, opera un dì pregiata di Domenico Mazza. Dal piccolo altare di pietra istriana, che sta dopo l’accennata cappella, pendeva una tavola rappresentante Nostra Signora ed il Bambino, lavoro non pregevole sulla greca maniera, mentre il maggior altare nel coro, cui non metteva veruno gradino sovra il piano della chiesa, era separato soltanto da quattro panche, e consisteva in una piccola semplice mensa isolata di marmo bianco intarsiato di rosso, con di contro sulla maestra muraglia un basso rilievo in pietra d’Istria che senza veruno ornato all’intorno rappresentava la Beata Vergine della Misericordia ed alcuni devoti, lavoro infelice del basso tempo.

Sopra la ferma sedia abaziale stava una meschinissima cantoria fornita di piccolo rovinato organo, volgare opera del 1621, nel altro poteva apprezzarsi in essa cantoria se non se il parapetto intagliato a gotico disegno, rovinato però da una grossa imbiancatura di calce. Nell’altare di legno e pietra cotta, che tuttora esiste, e da cui si mostrava, prima del 1827, il prezioso dipinto di G. B Cima di Conegliano esprimente l’Angelo e Tobia, era sostituita una non pregevole copia della Presentazione di Nostra Signora del Bassano, e dopo l’esistente monumento, eretto a Jacopo Moro capitano di mare e terra, morto nel 1577, si vedeva un logoro altare di pietra d’Istria di nessuna eleganza, avente a pala l’effigie di Sant’Antonio di Padova con Gesù Bambino tra le braccia d’ignoto volgarissimo pennello. Finalmente alcuni tratti delle pareti della Chiesa erano coperti di vari quadri a buon mercato qua e là acquistati, che lungi dal coprirne, come si esprime il ch. Moschini nella sua Guida, la orridezza causata dalla umidità, si risentivano piuttosto del medesimo danno. La sagrestia poi non era se non se un oscuro locale a pian terreno frammezzo alle attigue rovinate casette, e veniva coperta nei muri in parte da marciti arazzi, in parte da logore dipinte tele: e basti il dire, che nel sito in cui attualmente sono appese le tabelle Praeparatio ad Missam , locate erano le due finestre.

Ritenuti in mente questi cenni del compassionevole stato, in cui M.r ab. Pianton rinvenne nel 1828 la sua chiesa, non dispiaccia ora il dare uno sguardo a quanto fino ad ora concepì a restauro e ad abbellimento di essa, non che a preservazione degli oggetti d’arte, sposti al deperimento e da lui per Venezia raccolti, oltre a quanto ha in animo di condurre a termine.

L’atrio, l’organo (nobile opera del Bassani) e la cantoria, dalla quale fa bella mostra il ristorato gotico parapetto sono le nuove opere del 1833, succedute all’altra tanto utile della erezione di quel ponte, che dalla fondamenta della Misericordia mette al campo abaziale, cui mancava l’immediato accesso. In sostituzione della sconcia arcata, eccoti invece le marmoree imposte della proporzionata porta della nuova Cappella dai fondamenti innalzata, ed ornata al di fuori dalle statue delle sante Cristina, Dorotea, e Callista, lavori di Bartolomeo Buono, fiorito nel secolo XIV. Tali statue esistevano entro l’arco della porta della scuola grande della Misericordia in una la maestosa celebrata statua colossale della Beata Vergine, dello stesso autore, che si mira collocata di rimpetto all’opposta parete, e che furono dall’I. R. Governo Militare, dietro le vive istanze di M.r, all’abaziale chiesa affidate. La statua di San Francesco d’Assisi, d’ignoto antico scalpello, spettava alla profanata chiesa di Santa Maria Maggiore, e fu ottenuta dalla condiscendenza di S. A. R. il S. Principe Vice Re: e quella di San Domenico, lavoro del Comino, o del Cabianca, che stava un tempo sull’altare della profanata chiesa delle Pinzocchere a San Martino, è dono di S.E. Il Vice Ammiraglio Amilcare Paulucci. L’altare di fini marmi, che si alza nella nuova cappella, fu graziosa offerta della veneta dama la Nob. Cont. Anna Giovanelli vedova Boldù. Quell’altare spogliato dalle pesanti goffaggini antiche, a merito della maestria del sig. Vincenzo Fadiga, che sta lavorando inoltre a carico di generoso devoto il pavimento, accontenta il guardo, e lo rallegra.

Nel corrente anno 1840 verrà in esso trasferita la immagine della gloriosa taumaturga la Santa Maria Filomena, e nelle nicchie laterali saranno riposti i corpi delle Sante Giulia, Veneria ed Agape, e dei Santi Afeno e Gaudenzio, tutti martiri Proprii Nominis dei primi secoli della chiesa (come ne fanno fede le relative sottoposte quattro lapidi), estratti in Roma dai cimiteri di Sant’Ippolito e di Santa Priscilla, ed ottenuti a gloria ed a presidio dell’abaziale. Questa quanto semplice, altrettanto ricca e venusta cappella sarà nel soffitto abbellita dal dipinto di Antonio Zanchi, rappresentante Nostra Signora della Misericordia fortunatamente tolto al deperimento dal professor Antonio Florian.

Dalla cappella si passi al coro. Fu questo nel 1855 alzato sopra il piano della chiesa per due gradini onde collocarvi il prezioso altare, ed i magnifici marmorei sedili a spalliera, che forse in Venezia non hanno i secondi. Agguagliato che fu al suolo il convento e pressoché tutta la chiesa dei monaci camaldolesi di San Mattia di Murano, per oltre a tre lustri stettero esposti all’intemperie delle stagioni quell’altare e quei sedili, che per antica tradizione costarono ai benemeriti monaci oltre dodici mila ducati. Però il meno perito può argomentare a quale sfasciamento ed alterazione ridotti vennero quei svariati marmi dalle piogge, dalle nevi e dai ghiacci, dal quali per sì lungo tempo giacquero indifesi. Non sapendo soffrire in pace M.r abate tanta iattura pensò di farne del proprio l’acquisto, ed affidatone il traslocamento e la restaurazione alla ben conta perizia ed all’amore del sig. Vincenzo Fadiga, fece sostituire all’antico, di nessun pregio, il detto restaurato maggior altare e le dette spalliere di San Mattia, le quali e per le architettoniche riforme e per l’accresciuta ampiezza vincono di molto la primitiva magnificenza. Fin qui le plausibili nuove opere a riparazione dell’abaziale compiute dal genio e dal trasporto per il decoro della casa del Signore di M.r abate Pianton.

Non incresca ora, prima di far passaggio al contiguo nuovo fabbricato, di rilevare quali opere abbia egli in mente ed in cuore, per lo perfezionamento dell’abaziale ove seco lui concorra la veneziana generosità: opere, che con clemente benignità nel cessato gennaio si compiacque di udire dalla voce di M.r indicate S. A. I. R. il Principe Vice Re nel giorno, in cui onorò di sua visita l’abaziale.

Alzare egli intende adunque di oltre quattro piedi le muraglie della chiesa e quindi la trabeazione, la quale dovrà sostenere il soffitto che a chiari ed oscuri sarà spartito alla ducale. Quattro sole saranno le grandi finestre illuminanti dall’alto la chiesa: due ai lati del coro e due alla metà. Ove ora stanno le due ai fianchi del maggior altare saranno sostituite due nicchie, in una delle quali verrà posta la statua di San Gaetano Tiene, nell’altra quella di San Girolamo Miani, che dovranno lavorarsi dallo scalpello in dura pietra di due fra i più celebrati veneziani professori. Sopra l’altare sarà nella parete assicurato il medaglione di antico maestro scalpello rappresentante l’Eterno Padre, ch’esisteva nella Scuola Grande della Misericordia, oggetto d’arte ottenuto da M.re dalla generosità dell’ I. R. Militare Governo. In luogo di pala verrà locata la venusta statua della Beata Vergine seduta col divino Bambino in piedi sui ginocchi, lavoro di grand’effetto di Girolamo Campagna eseguito del 1578. Tale statua esisteva nella demolita chiesetta appiè della torre dell’Arsenale, da cui ebbe anzi nome il Rivo detto della Madonna e che fu dall’abaziale ottenuta per un distinto dono di S.E. Il Vice Ammiraglio Amilcare Paulucci.

Ai lati, sopra le anzidette spalliere penderanno due grandi tele, opere di laudati pennelli, che dal benefico possessore sono a tal uopo serbate. Sopra la porta, che mette alla sagrestia, sarà riposto il busto di Sant’Elena di Antonio Dentone, oggetto d’arte largito dall’I.R. Militare Governo, e che un tempo fregiava il claustro dei Monaci Olivetani dell’isola pur di Sant’Elena. Agli estremi angoli del coro, sulla gengiva del gradino, alzati due piedestalli, vi trionferanno due colossali statue, l’una di San Paolo, l’altra di Sant’Andrea apostoli, ottenute dall’I.R. Militare Governo; finalmente da semplice balaustrata di marmo si separerà dall’area della chiesa il coro, che di un solo gradino sarà elevato, dovendo il nuovo marmoreo pavimento della chiesa livellare l‘atrio della porta.

Scendendo dal detto gradino, al destro fianco verrà riposto grazioso ed elegante monumento che a sé ed alla moglie eresse nel 1537 Luigi Malipiero nell’ora profanata chiesa di Santa Maria Maggiore: monumento di cui il ch. Emmanuele Antonio Cicogna parla nel Tom.III. Alla pag. 409 della erudita sua opera delle Iscrizioni Veneziane monumento, che con dispaccio del 7 feb. 1835, N.1557, S.A.I.R. Il S. Principe Vice Re affidò all’abaziale.

Allo sconcissimo attuale altare, intitolato a San Giuseppe, sarà sostituito uno dei due eleganti di marmo, che esistevano nell’ora profanata chiesa delle Convertite alla Giudecca acquistati da Mr. abate dall’I. R. Demanio, e sopra di esso sarà aperto il terzo finestrone: indi si mostrerà da architettonico contorno in pietra viva fregiata la grande statua della Beata Vergine della Misericordia con ai lati, sopra due mensole, due Angeli, lavoro di maestro Buono, ottenuti pur essi dall’ I. R. Militare Governo.

Passando al sinistro fianco, dopo la porta suindicata della cappella, sarà alzato l’altro altare di marmo, che esisteva alle Convertite della Giudecca e che si vuole intitolato ai santi dei quali fra l’anno se ne solennizza la memoria nell’abaziale. Sopra quell’altare vi avrà il quarto finestrone: e rimpetto al monumento suindicato del Malipiero sarà trasferito l’ora pendente monumento del celebre capitano Jacopo Moro attorniato da un’arcata di viva pietra.

Armonizzati nell’esposta guisa i due lati della chiesa, nei quali verranno pur poste le dodici marmoree croci, un tempo esistenti nell’ora profanata chiesa di Sant’Agostino, e da M.r acquistate dall’I. R. Demanio, saranno chiuse le due finestre ai fianchi della cantoria, e la collocati verranno sopra mensole due busti di scelto scalpello, continuandosi altresì il cassone dell’organo dall’uno all’altro dei maestri muri, e rannicchiandosi inoltre tra quegli spazi due nuovi confessionali.

Ora, se si giunga di vedere ai nostri giorni tanta impresa condotta al termine, che non applaudirà allo zelo ed al grande animo dell’attuale M.r abate, che dallo stato veramente misero e quasi cadente in cui la trovava nel 1828, a tale abbia rialzata l’abaziale, e per regolarità e dovizia di preziosi oggetti d’arte l’abbia resa non inferiore a molti ammirati templi della nostra Venezia! Piaccia al cielo che egli non chiuda gli occhi suoi se non dopo avere veduti accontentati tutti i suoi plausibili voti!

Se non che, allo sbozzo di quanto ha egli in cuore di compiere, e da quanto a questa ma ha già raccolto per riuscirvi, passiamo ad accennare gli oggetti, l’acquisto e la conservazione dei quali a1 suo caldo amore per le belle arti dobbiamo. Si esca dalla porta del coro, e si sappia, che l’immediato andito, con tutti gli annessi locali, vennero dai fondamenti eretti sulle demolite antiche case di ragione abaziale; case che popolate un tempo da misera ed importuna gentaglia, rimaste erano nel 1836 a solo peso della mensa e minacciavano non lontana rovina.

Di rimpetto alla porta che mette in questo andito dalla fondamenta dell’abazia, ha M.r riposto quell’antico basso rilievo che nel 1828 teneva luogo di pala del maggiore altare, come si è detto, ed il più ampio tratto dell’andito è destinato a conservare non solo le lapidi tutte qua e là sparse per l’abaziale, ma parecchi bassi rilievi antichi che raccolti vennero da Monsignore. Progredendo si scorge una stanzuola destinata a custodire gli arredi più usuali della chiesa, mentre la seconda stanza, che servirà ad uso di oratorio e che si intitolerà a Santa Cristina M., guarda ora la collezione delle statue, busti, e bassi rilievi, sottratti al deperimento da molte località di Venezia, i quali, come fu detto, saranno disposti all’ ornamento della chiesa. Quindi è che se ti riscalda affetto per le belle opere dello scalpello ti ricorda questa stanza quelle del Buono, del Dentone, del Campagna, del Sansovino, del Marinali e di altri, tra i quali emerge con due sue opere Alessandro Vittoria, cioè col busto di Giustiniano Giustiniani generalissimo della Repubblica e dono di S. E. il cav. Lorenzo Giustinian-Recanati, e col piccolo basso rilievo rappresentante la Beata Vergine Addolorata, dono del Rev.mo M.r D. Calderico di Caldogna canonico arciprete della cattedrale di Vicenza.

A questa stanza tiene dietro la sagrestia. Se si richiami al pensiero qual essa era nel 1828, la si terrà per un gioiello. Due angeli del Marinali in marmo fregiano il maggiore cancello sopra la panca degli paramenti, ed un Redentore alla colonna, pure di marmo, ricorda i primi bei passi della veneziana scultura dopo il decadimento delle arti. Pende al di sopra dalla parete uno dei migliori lavori di Giuseppe Angeli rappresentante il veneto beato Pietro Acotanto attorniato dai poverelli: tela che il patrizio Flaminio Cornaro locò in San Basilio sull’altare ove stava la spoglia del beato, e che passata nei tristi giorni delle francesi riforme in mano venale, fu da M.r alla profanazione ed al guasto sottratta. Da uno dei fianchi sta appeso un vivo ritratto del patriarca Bragadino, opera di Alessandro Longhi, al quale fa specchio quello di M.r Benigno Bosuet lavorato nel seminario di San Sulpicio nel 1775 da Nicolò Lafebre. Sopra la porta si ha il ritratto di S. E. il patriarca Federico Maria Giovanelli in atto d’istituire a suo vicario in San Bartolomeo il dotto e pio M.r Francesco Franceschini, la di effigie fu tratta dall’originale da Gaetano Gressler per ordine della cognata di quel patriarca nel 1794. Fu lo stesso Gressler, che nell’anno 1859 (il 74 della sua età) per volere di M.r con giovanile bravura il ritornava al primitivo suo pregio. Adornava questa tela il convento dei padri Carmelitani Scalzi e precisamente la memorabile stanza delle conferenze avvenute tra il procuratore di San Marco Francesco Pesaro, ed il ministro della Repubblica francese Lallemant: ed è special merito di M.r che non siasi perduta. Ai lati stanno due statue in legno rappresentanti due sacerdoti dell’ordine dei Sacchetti, ossia della Penitenza di G. C., che ornavano prima del 1810 il refettorio delle monache di Santa Catterina.

Dalla sagrestia passando alla terza stanza non può l’amatore dell’arte del pennello non rimanere appagato. Sopra l’interinale altare, che mostra una vivace copia d’ antica immagine del Nazareno di G. Torre, si scorge un robusto dipinto i Francesco Ribera detto lo Spagnoletto (dono della signora Francesca Bravetti Criconia), rappresentante il dott. mass. San Girolamo. Sopra di esso sta il dipinto di San Lodovico vescovo, lavoro di Giovanni Battista Cima di Conegliano, che il donatore Sebastiano professor Santi, a prova di sua perizia, trasportava in tela dalla vecchia tavola. Il San Giovanni Battista e l’Evangelista San Matteo del Bonifacio, che stanno ai lati, dal maltratto in cui, M.r li rinvenne nel 1828, furono alla primiera venustà ricondotti dal paziente, e distinto restauratore il sig. Luigi Grechi. Il conservatissimo San Lorenzo Giustiniani, locato tra le finestre, è lavoro del Palma giovine, ed è dono del sig. Luigi Roncan. Il sig. Saverio Werrand appagò le istanze di M.r regalando all’abaziale la maschia e leggiadra copia del San Pietro Martire di Tiziano eseguita dal celebre pennello di Alessandro Varotari, detto il Padovanino. La martira Santa Cristina coronata da due angioletti, con ai lati i Santi apostoli Pietro e Paolo, celebre lavoro di Damiano Mazza, fa di sè bella mostra per opera del professore Antonio Florian, che ne levò i ridipinti, e ne riparò i danni dal quali sembrava nel 1828 altamente difformata. La deposizione del Redentore nel sepolcro è graziosa copia tratta da quella del Rubens, ed è dono del sig. Biagio Bottari, siccome si devono alla generosità del sig. Candido Fassetta le due tavolette rappresentanti il Redentore che dorme nel naviglio, ed Il Redentore deposto nel sepolcro, lavori vaghissimi di Giovanni HIolbein, che fiori nel 1547. Anche i due santi vescovi Martino e Biagio di Giovanni Battista Tiepolo, nel sig. professore Antonio Florian ebbero il maestro riparatore, né può non meritare attenzione la Paolesca tela del Maganza rappresentante Nostra Signora tra le Vergini e gli Angeli, acquisto di M.r dall’I. R. Demanio siccome il viaggio della sacra famiglia di Francesco Santacroce ed il Redentore nell’orto, copia di Bartolomeo Schidone, tratta dal capo lavoro di Correggio, dopo il diligente ripulimento del sig. Grechi, sono due tavolette di non volgare apprezzamento. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

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FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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