Chiesa di San Simeone Profeta vulgo San Simeon Grando

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Chiesa di San Simeone Profeta vulgo San Simeon Grando - Santa Croce

Chiesa di San Simeone Profeta vulgo San Simeon Grando

Storia della chiesa

A spese comuni delle famiglie Ghisi, Aoldo, e Briosi fu fabbricata nell’anno 967 la Chiesa Parrocchiale di San Simeone, quel desso che nell’età cadente ebbe la sorte di ricevere nelle sue braccia il Redentore Bambino. Illustre la chiesa per il titolo di un Santo così venerabile, lo divenne ancora più per il possesso del di lui sacro corpo, che dalla cappella di Santa Maria contigua all’imperiale Basilica di Santa Sofia di Costantinopoli trassero nell’anno 1205 (come nota il Dandolo) con gran fatica due veneti popolari Andrea Balduino e Angelo Drusiaco, e lo donarono poi alla veneta chiesa, di cui il santo era titolare.

Riposò il prezioso deposito più di un secolo in un monumento di marmo greco, finché nell’anno 1317, per mano di Giacomo Albertini vescovo Castellano, e di molti altri vescovi, che intervenire vollero a decoro della sacra funzione, venne solennemente depositato in un nobile avello sopra la mensa dell’altare maggiore al di lui nome dedicato. Volle supplire a tutte le spese del pomposo trasporto il piovano Bartolommeo Ravacauli, che a perpetua ricordanza ne incise in marmo la memoria, dalla quale si conosce essersi nello stesso tempo e seguita la traslazione del corpo, o delle reliquie insigni del Santo martire Ermolao prete di Nicomedia, che condotto a Venezia, e in questa chiesa collocato risplende (come asserisce Pietro dei Natali vescovo di Jesolo) per frequenti miracoli. Prova evidente delle riferite traslazioni si è, che nell’anno 1733, nello scavarsi della terra per lastricare di scelti marmi la cappella maggiore del santo, vi fu rinnovata ivi sepolta l’antica cassa di marmo della lunghezza di un corpo umano, nella quale per oltre un secolo giacque il sacro corpo, come si rileva dall’iscrizione nel marmo incisa con antichissimi caratteri corrispondenti all’uso del secolo XIII.

So bene, esser universalmente noto venerarsi nella città di Zara il corpo incorrotto di San Simeone; ma so pure anche non esservi documento alcuno, che dimostri, a quale dei tanti santi, che furono nell’Oriente con tale nome chiamati, appartenga quel per altro venerabilissimo corpo, la di cui traslazione è posteriore alla veneta di circa 75 anni. Anziché l’integrità del corpo stesso la prova bastantemente, non essere del santo vecchio Simeone, un braccio del quale trasmesso in dono dall’imperatore di Costantinopoli insieme con altre reliquie all’imperatore d’Occidente Carlo Magno, fu da esso (come scrive nella sua Cronaca il Dandolo) offerto alla sua Cappella di Aquisgrana. Né però ciò osta in veruna maniera alla veneta traslazione. Poiché il sacro corpo posseduto da questa chiesa si conosce mancante di molte ossa, fra le quali certamente il braccio, di cui fu arricchita Aquisgrana.

Era tradizione, che le reliquie di Sant’Ermolao rammemorato di sopra fossero condotte a Venezia insieme, col corpo del santo profeta titolare, ma poste separatamente in un’urna di marmo Greco; nel di cui coperchio vedendosi scritti con greci caratteri i nomi d’Ermolao, e Pantaleone, fa credere, che a quelle di Sant’Ermolao unite vi siano alcune ossa del celebratissimo medico San Pantaleone martire da lui generato a Cristo con la predicazione evangelica. Un braccio però di Sant’Ermolao si venera separato dall’altre reliquie a cui appesa stava una medaglia rappresentante lo stesso Martire.

Oltre questi ben pregevoli tesori possiede questa chiesa molte altre reliquie di santi, che sono: alcune ossa dei Santi Innocenti Fanciulli uccisi a Betlemme per comando di Erode, ed un braccio di San Quirico, esso pure fanciullo e martire; una parte d’osso di San Pietro Apostolo, ed altre dei Santi Giovanni Grisostomo patriarca, e Valentino prete e martire, ed il capo pure di un martire col nome di Osvaldo tratto dalle Catacombe di Roma. Di inestimabile pregio sopra tutte le altre sono le reliquie degli strumenti adoperati nella Passione del Redentore, cioè una spina della di lui corona, e un frammento della colonna, a cui fu flagellato.

Il massimo però, e sommamente venerabile tesoro di questa chiesa è una gocciola di quel vivifico sangue, che mescolato con acqua sortì dall’aperto costato del nostro Redentore, il quale (come deriva per tradizione) è una porzione di quello, che si preservò illeso tra le fiamme di quel fatale incendio, da cui nei tempi del Doge Giacomo Tiepolo fu consumato il Santuario della Basilica Ducale di San Marco. Questa adorabile goccia avuta dal doge Reniero Zeno fu poi dalla di lui famiglia donata a questa chiesa, che riconosce per sua parrocchia.

Il giorno 15 di luglio è l’anniversario della consacrazione di questa chiesa. (1)

Visita della chiesa (1839)

Poco, quanto all’arte, richiede di osservazione questa chiesa, la quale, divisa in tre navate, ricevette riattamenti di tempo in tempo, e conserva tuttavia le tracce delle sue antichità.

Trascorsi quindi tutti gli altari del lato sinistro, diremo che la tavola con la Presentazione al tempio su quello della maggior cappella è di Jacopo Palma, e che i due quadri, ai lati della cappella medesima, l’uno col sacrificio di Noè, e l’altro con la visita degli Angeli fatta ad Abramo, sono di Nicolò Bambini.

Il quadretto ricoperto dallo specchio nell’altare della cappella alla sinistra della maggiore è di Vincenzo Catena, e ricordando essere dei buoni tempi la tavola del susseguente primo altare coll’Annunziata, essere quella del secondo di Bernardino Prudenti e quella dell’ultimo altare, di Leonardo Corona, molto vuol essere lodato il quadro di Jacopo Tintoretto sopra il battistero, esprimente la cena di Nostro Signore, né senza considerazione vogliono essere le dodici figure di legno poste per ornamento interno alla chiesa e rappresentanti gli apostoli. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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