La festa per l’incoronazione del Doge
Avvenuta l’elezione del nuovo doge, molte erano le dimostrazioni di giubilo che avevano luogo in Venezia, fra cui tenevano posto principale le processioni dell’Arti, e la mostra dei frutti della loro industria in Palazzo Ducale. Troviamo che nel 1268 la corporazione dei Barbieri, e quella dei Feraleri festeggiarono con belle mascherate l’elezione di Lorenzo Tiepolo. Nel 1400, in onore di Michele Steno, s’incendiò, per i molti fuochi di gioia, il campanile di San Marco, e poi si diede in Piazza un torneo. Altro torneo offrirono, nel 1413 gli Orefici e Gioiellieri a Tommaso Mocenigo. Dopo che nel 1423 venne eletto a doge Francesco Foscari, la città, a detta dei cronisti, si mantenne in festa per un anno. E quando nel 1595 venne eletto Marino Grimani si vide l’intemperante plebaglia appiccare il fuoco all’edificio di legname destinato in Piazza alla fiera della Sensa, e fare un falò delle panche stesse dei magistrati.
In tempi più vicini l’annunzio dell’elezione era dato dalla fusta, o galera, ancorata nel bacino di San Marco con uno sparo d’artiglieria, a cui rispondevano i cannoni dei bastimenti circostanti, che, in segno d’allegrezza, issavano le loro bandiere. Contemporaneamente suonavano tutte le campane, e si dava fuoco a certi piccoli mortai, chiamati mascoli, disposti in fila lunghesso la Riva degli Schiavoni. La sera poi illuminavansi internamente le Procuratie, e si accendevano fuochi artificiali, e fuochi all’inglese.
Se il doge nuovamente eletto si trovava fuori della capitale, gli si spediva un corriere per annunziargli la sua nomina, e gli si destinava un’ambasciata di patrizi che andasse ad incontrarlo. Allorchè era giunto a poca distanza, la Signoria gli mandava il bucintoro con due consiglieri, ed altri patrizi, per condurlo alle rive della Piazzetta, ove veniva accolto dal Maggior Consiglio, e fatto salire al Palazzo Ducale. Se invece l’eletto era in Venezia, una deputazione di sei Savi si recava alla di lui abitazione per avvisarlo dell’accaduto, ed accompagnarlo medesimamente al palazzo.
Di là passato alla basilica, si faceva salire sopra la tribuna di marmo, che è alla destra del coro, e si mostrava al popolo. Si cantava quindi messa, dopo la quale il nuovo doge giurava fedeltà alle leggi dello Stato. Allora riceveva dal primicerio lo stendardo della Repubblica, veniva vestito del manto ducale, e portato in giro per la Piazza da ottanta arsenaloti, o lavoranti dell’arsenale, sopra un pergamo di legno detto pozzeto, mentre due schiere d’altri arsenaloti, armati di grossi bastoni, colorati in rosso, gli facevano spalliera. Nel pozzeto egli aveva dinanzi il proprio balotino, dietro l’ammiraglio dell’Arsenale, ed accanto due suoi stretti parenti, che gettavano al popolo affollato alcune monete d’oro e d’argento, nuovamente coniate con l’impronta del largitore.
Terminato frettolosamente il giro, si conduceva in palazzo, ove, sul piano della Scala dei Giganti, il consigliere più giovane gli poneva in testa il corno ducale con le parole: “Accipe cornum ducalem ducatus Venetiarum“. Terminavasi la cerimonia con un solenne convito, che il doge doveva imbandire ai suoi elettori. Anche dopo l’incoronazione si gettavano danari al popolo da quel terrazzo che sta fra la Scala dei Giganti, e la chiesa di San Marco. Inoltre, per quello, e per altri due giorni consecutivi, si dispensava pane e vino ai barcaiuoli dei traghetti, ed in palazzo si apriva una specie di corte bandita, alla quale era ammessa qualunque persona decentemente vestita per gustare tutto ciò che l’arte dei confetturieri, dei ciambellai, e dei caffettieri aveva apprestato.
Giunta frattanto la sera, ed illuminata la Scala dei Giganti con torce di cera si dava nelle sale del palazzo, riccamente tappezzate, olezzanti di fiori, e brillanti di luce, musicali concerti e danze, a cui potevano prender parte tutti i patrizi, le dame, l’ordine dei Senatori, la nobiltà di provincia, e la nobiltà forestiera. Uomini e donne d’ogni condizione erano poi abilitati a godere lo spettacolo dall’alto di un ballatoio che si erigeva intorno la sala, purchè fossero mascherati in bauta. Non il doge, ma una di lui prossima parente soleva fare gli onori della festa, e sei patrizi, col nome di mazzieri, vegliavano al buon ordine della medesima. Essa si protraeva a tre giorni, costando alla cassetta privata del doge buona somma di danaro, che talvolta raggiunse i trentamila ducati. (1)
(1) Giuseppe Tassini. Feste, spettacoli, divertimenti e piaceri degli antichi veneziani. Venezia. Stabilimento Tipografico Fontana. 1891
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