La Domenica delle Palme, e i colombi di Piazza San Marco

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Bassorilievo su un palazzo sul Rio de San Stae. Sestiere di Santa Croce

La Domenica delle Palme, e i colombi di piazza San Marco

Da un vecchio almanacco, chiamato “protogiornale per l’anno 1747 ad uso della Serenissima Dominante città di Venezia“, si legge che nella Domenica delle Palme “sua Serenità scende la mattina in san Marco alla Messa solenne dopo vi si fa la processione con l’ulivo e dalla loggia sopra la porta maggiore si gettano nella piazza colombe vive, uccelli e gran quantità di frutta“.

Questa tradizionale usanza, che durò fino alla caduta della Repubblica, risaliva già al secolo decimoterzo ed è rammentata anche da Francesco Sansovino quando scrisse la sua “Venezia descritta in tredici libri“, e pubblicata nel 1604 dal Salicato, stampatore all’insegna della “Madonna” in contrada di San Geminiano. Era questa festa una delle più popolari della Repubblica e fin dalle prime ore del mattino la Piazza di San Marco si vedeva gremita di popolo festante, qua e là banchetti di dolci e di frutta e dappertutto grandi ceste di olivo benedetto “qual se vendeva un bagatin (la dodicesima parte di un soldo) a la rama“.

In chiesa si svolgeva la grande cerimonia ufficiale: verso nona il doge con il seguito di magistrati, ambasciatori, prelati, patrizi entrava in San Marco preceduto dagli otto stendardi e dalle trombe d’argento e il Primicerio offriva al corteo le tradizionale palme. Quella del doge, fatta a piramide triangolare, era magnifica fra tutte per richezza ed eleganza, finissimo lavoro delle monache di Sant’Andrea “in cao de zirada“. La palma aveva le foglie d’oro, d’argento, di seta accomodate ed intrecciate con fine leggiadria; lo stelo tutto dorato recava dipinto lo stemma del doge e due grandi nastri di seta pendevano ai lati con ricamato il Leon di San Marco. Le altre palme destinate al corteo erano meno ricche, ma pur sempre confezionate con rara eleganza.

Ascoltata la messa solenne, cominciava la processione intorno alla chiesa, ognuno recando la sua palma benedetta, e giunto il doge, i cantori intonavano l’inno “Gloria, laus et honor“, le campane suonavano a distesa e dal pronao della chiesa venivano lanciate a dozzine le coppie di colombi, a ceste la frutta, i dolci, i rami d’olivo. Il popolo con grida di gioia raccoglieva tutto, ma la maggior attrazione erano i colombi ai quali, non potendo essi volare alto perché avevano attaccati alle zampine pesanti cartocci, si dava con gran lena la caccia, cibo squisito per la Pasqua vicina. Durante la processione per ben tre volte si ripeteva la cerimonia che metteva in tripudio il buon popolo veneziano, ma quasi ogni anno, nonostante il cartoccio traditore, una parte dei colombi, spaventati dal tumulto e dalle grida, si rifugiavano sul tetto della Basilica o su quello del Palazzo Ducale. Così cominciò nel principio del duecento la colonia dei famosi colombi di San Marco.

Più tardi la Repubblica pensò anche ad essi, ché ormai erano diventati un caratteristico ornamento della splendida Piazza, e fece costruire sui tetti della chiesa piccoli colombai e ordinò ai “Cinque officiali al formento” di distribuire ai colombi una certa quantità di grano al mattino in Piazza, nel pomeriggio in Piazzetta.

I colombi crebbero e crebbe in essi la dimestichezza che fa oggi stupire i forestieri; furono dichiarati di dominio pubblico e soggetti alla pubblica protezione con una legge speciale. Caduta la Repubblica, in quei torbidi momenti di passione e di vendette, i poveri colombi repubblicani corsero il pericolo di morir di fame, a la carità pubblica promotrice la nobildonna Querini Polcastro abitante in Procuratia, vene in loro soccorso distribuendo due volte al giorno grano e miglio.

Oggi, Domenica delle Palme, la storia che ricorda settecento anni or sono i primi colombi scampati dall’eccidio di quella cerimonia, furono i primi fondatori dei colombi di San Marco tanto simpaticamente conosciuti da italiani e stranieri. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 1 aprile 1928

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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