Fontana del Monumento a Giuseppe Garibaldi
Giardini pubblici. Volendo l’imperatore Napoleone, durante il suo soggiorno in Italia, provvedere ai bisogni della sua buona città di Venezia (sono parole del decreto 7 settembre 1807) ordinò che nell’isola circoscritta dal riva di San Giuseppe e dalla laguna, compresa la così detta Motta di Sant’Antonio, si l’ormasse una passeggiata pubblica con viali e giardino; la cui spesa veniva allora calcolata di 400,000 lire italiane; e venisse incominciato immediatamente il lavoro, e fosse compiuto nel 1809, con fondi che egli avrebbe all’uopo assegnati. A noi non spetta indagare se la sua buona, e a lui troppo buona, città di Venezia avesse allora bisogni più veri e più urgenti di un giardino, né tampoco di commentare l’opinione di chi osò dire che l’imperatore avrebbe fatto miglior beneficio a Venezia, costruendole un grandioso cimitero; ma piuttosto di riferire che tutti gli edifici di pietà e religione che si trovavano nell’isola su determinata vennero atterrati, e così si ottenne lo spazio necessario alla gran passeggiata. Il disegno a Giovanni Antonio Selva, si deve la direzione delle piantagioni al nobile P. A. Zorzi, e la spesa al Municipio. Si entra per cinque grandi cancelli di ferro i cui pilastri sono fiancheggiati da due bagnati in curva rientrante: sopra dovevano essere collocate delle statue, e bene l’occhio ne avvisa la mancanza, e le desidera. Un triplice viale va dall’ingresso dei giardini al canale di San Giuseppe, quasi atrio al luogo del passeggio, e nel mezzo si dilata a guisa di piazzetta. Passato il ponte, a mano sinistra, poco lontano e quasi nella linea stessa dell’ingresso secondario, sorge un arco magnifico, che a pezzi giaceva da quindici anni su questo terreno quando fu eretto nel dicembre del 1829, coll’epigrafe Artium genio Restitutum MDCCCXXII: era già all’ingresso della cappella Lando; e si reputa disegnato dal Sammicheli. L’occhio si rallegra nella magnifica prospettiva che se gli presenta: a destra la laguna, le isole di Nostra Donna delle Grazie, di San Clemente, di San Giorgio, lontani i colli euganei, e la città che si gira in grande arco. Se guardi a mezzodì un più solingo tratto di laguna, le isole di San Servilio, di San Lazzaro; se a levante, l’isola di Sant’Elena, di Sant’Andrea della Certosa, e più lungi il Castello, le Vignole, la terra ferma, la bocca del porto ed il mare.
E’ piena ancora di vita e di movimento per gli ancorati navigli e per le barchetta scivolanti è l’ampia superficie dell’acque che ti si presenta; quella che da mille navi veniva solcata ed era densa foresta quando Venezia era donna dei mari, e nel suo grembo raccoglieva le ricchezze delle più lontane terre, mercantessa e guerriera temuta. La collina che s’innalza, all’estremo dei giardini, si chiama variamente in antico: Capo verde, per i suoi alberi verdeggianti; Ponta di Santa Lena, per l’isola di Sant’Elena che le sta di rimpetto; e Ponta dei Rompiani: e Motta si diceva, come si dice ancora, per la sua elevatezza; e Motta di Sant’Antonio perché era propinqua alla chiesa ed al convento già dedicati al Santo. Il luogo della mossa dei barcaiuoli nelle regate solenni è dietro a questa Motta. È tirata orizzontalmente una fune, dinanzi a cui si mettono colla poppa parallela fra esse tutte le barche che sono alla gara, anzi con uno spago lungo due braccia vi si attaccano, un lato del quale sia legato alla stessa fune, e l’altro è raccomandato sotto all’ uno dei piedi dei regatanti, che lo premono, per lasciarlo allor quando un colpo di pistola dà il segnale della mossa.
La fabbrica ad uso di Caffè, che si trova sulla piazza quadri lunga della collina, che prospetta l’arco sopraricordato e il gran viale, e domina tutto il giardino e la città, fu architettata dal Selva. Una società istituì in questi ultimi anni la Cavallerizza, e curò a proprie spese l’erezione del locale elegante, datane la direzione dei lavori all’ ingegnere Meduna. Fu in appresso aggiunto lo stabilimento di Bersaglio a pistola. Ambedue le istituzioni onorano quelli che le pensarono ed effettuarono, perché sono utilissime, giovando non poco a mantenere ed accrescere la vigoria e la destrezza del corpo. Il popolo frequenta questo luogo di piacere specialmente le feste e i lunedì d’autunno; e lo ricrea con danze, con canti e con giuochi; anni sono assisteva alle rappresentazioni drammatiche che gli si davano in un teatro diurno di legno. all’aprico. Fedelissimi visitatori però di questi giardini sono gli scolari, che quasi quotidianamente vi si danno ad esercizi di ginnastica, dimenticata assai volte la scuola. Certo fan male: ma chi negherà che alla vita reale dell’uomo non siano per tornare codesti esercizi forse un tantino più utili delle disquisizioni scolastiche, d’una lezione di retorica, e in generale, d’uno studio a cui gli occhi e le orecchie sogliono avere, o si fa che abbiano, tutta la parte e nessuna l’anima? Né ci manca il melanconico poeta: se egli non può avere il puro aere dei campi e delle colline, la terra sorridente di fiori, trova altri compensi in questi luoghi: la laguna, le isole, la città, il mare, e nei silenzi della sera memorie che non destano i campi e le colline. (1)
(1) BERNARDO e GAETANO COMBATTI. Nuova planimetria della città di Venezia. (VENEZIA, 1846 Coi tipi di Pietro Naratovich).
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