I dolci delle monache veneziane

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Chiostro del Monastero di San Zaccaria (ora Comando Provinciale Carabinieri Venezia). Sestiere di Castello

I dolci delle monache veneziane

Gli Scaleteri a Venezia erano i pasticceri che producevano e vendevano bussolai, fugazze, savoiardi, pan di Spagna, sfogiade, pandoli (si mangiavano predendo il caffè), storti (si mangiavano con la panna e la cioccolata) e scalette. Gli Scaleteri presero il loro nome dalle scalette, che era il nome con il quale anticamente venivano chiamate ogni genere di paste dolci, ma forse più particolarmente erano una specie di pane condito con zucchero e burro, con somiglianza nella forma alle azzimele (pane fatto di pasta azzima) pasquali degli Ebrei, le quali avevano la forma di scalette a pioli. Scalette erano anche dette le cialde poste sopra e sotto le barre di mandorlato, le quali erano segnate a scacchi o a scalette. I privati cittadini e i monasteri erano liberi di produrre le stesse cose, ma solo per il loro personale consumo.

Ricorda Francesco Zorzi Muazzo, nobile veneziano sensibile e spregiudicato, nella sua “Raccolta de’ proverbi, detti, sentenze, parole e frasi veneziane”, che molti conventi di suore a Venezia si distinguevano per la produzione di dolci.

Nel convento di San Giuseppe di Castello per esempio si facevano le sfogiade (sfogliate), nei conventi dello  Spirito Santo e dell’Umiltà le torte, nel convento delle Vergini le rosae (dolci a base di latte e uova), i savoiardi si facevano nel convento di San Lorenzo, le persegae (cotognate) in quello di Santa Lucia, piccoli pan di Spagna si facevano nel convento delle Convertite alla Giudecca che si mangiavano con un solo boccone, i bussolai forti venivano prodotti nel convento di San Giovanni Laterano, i bussolai da zoppa (zuppa) nel convento del Santo Sepolcro e si pagavano, contriamente a quanto stabiliva la legge, dai cinque bezzi ai tre soldi l’uno, i crostoli (o galani) invece si facevano nel convento dei Miracoli. 

Erano famosi certi bussolai grandi, forti, di smisurata grandezza che facevano le monache di Santa Giustina, e per farli usavano un quartariol de farina all’uno, che con la stessa quantità di farina se ne faceva almeno trenta degli altri. I petti si facevano nel convento delle suore di San Cosmo alla Giudecca, fave, fior di farina e zucchero servivano per i biscotti del convento della Celestia, i bussolai fatti in dressa erano una particolarità delle suore del convento di Santa Caterina. 

Non tutte le monache però sapevano fare bene i dolci, nel convento degli Angeli di Murano si faceva un pan di Spagna con una pasta insipida e malfatta, e dei bussolai forti più cattivi di quelli che si vendevano sul Ponte di Rialto, e tanto duri che “no ghe denti umani che li possa non solo mastegar, ma gnanca rosegar”, anche le frittole delle suore di Malamocco, che costavano venti soldi l’una, non erano ben fatte, perché dopo averne mangiata una non si poteva più continuare, tanto erano pesanti. 

Le “smegiazze” (torte originariarmente di miglio e poi di mais) le facevano le monache di Santa Marta e pare che avessero effetti afrodisiaci, infine le generose monache di San Zaccaria offrivano alla Signoria, nel giorno di Pasqua, trecento “calisoni indoradi” e al popolo i “bussolai di pasta zala  fati a coste o a punta di diamante, che co i ze freschi i ze un bon magnar”. (1)

(1) Francesco Zorzi Muazzo. Raccolta de’ proverbi, detti, sentenze, parole e frasi veneziane, arricchita di alcuni esempii ed istorielle. Fondazione Giorgio Cini, Regione del Veneto, Angelo Colla Editore

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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