Il pranzo delle tre “pignocate”, e un delitto misterioso

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Calle dei Albanesi (dietro le Prigioni). Sestiere di Castello

Il pranzo delle tre “pignocate”, e un delitto misterioso

Il 24 aprile 1524 “da poi disnar il Serenissimo andò a vespero in chiesa san Marco per esser vezilia di san Marco, con le cerimonie, vestito di raso cremesin con un manto de restagno d’oro fodrà de armellin et il bavaro et bareta con i fiori a frizo d’oro“.

Il corteo era come il solito solenne: c’erano il Legato del Papa e gli ambasciatori di Francia, di Germania, del duca di Milano, di Ferrara e di Mantova “et portava la spada dil Dose, drio tutti li senatori sier Antonio Surian qual và podestà a Brexa“, poiché voleva la tradizione che l’alto onore di portare la spada dogale fosse dovuto al patrizio prossimo a partire “per un reggimento” o governo di provincia quale podestà o capitano.

La cerimonia in chiesa si svolse lentamente, il Serenissimo Andrea Grittiera in pergolo (pulpito), dove si suole mostre il sangue miracoloso, con li horatori“, nelle navate stavano patrizi e gentildonne, nelle panche coperte di velluto e di arazzi sedevano le prime autorità dello Stato. Cantati i vespri si riordinò il corteo che accompagnò il doge fino alla scala, che più tardi si disse dei Giganti per le due colossali statue sansoviniane di Marte e di Nettuno, e in quell’anno, nota il Sanudo, “il dose fe una cossa nova, che fe’ metar una spaliera alta, dove lu in cao (capo) di la scala si tien per tuor licentia da tutti“.

Il giorno dopo, 25 aprile, festa solenne, tutte le campane dela città e delle isole dell’estuario salutarono festosamente l’alba del giorno di San Marco, nella basilica Marciana messa cantata e processione delle Scuole Grandi dinanzi al Principe, agli ambasciatori, ai magistrati, ai pubblici ufficiali.

Ogni Scuola gareggiava nel lusso; reliquie chiuse in teche d’oro, d’argento e contornate da gioie, numerosi candelabri, aste, turiboli preziosi per la materia, mirabili per il lavor, bacini d’argento ampi e ricchissimi recati da confratelli e ricolmi di torcie.

Davanti al trono ducale ogni Scuola si fermava e il gastaldo offriva al doge una delle torcie, la più bella, adorna di pitture simboliche, intrecciata di fregi d’oro tra i quali con squisito gusto d’arte spiccava lo stemma del Serenissimo, mentre i confratelli distribuivano altre torcie, meno ricche ma non meno belle, al clero e al corteo del doge.

Terminate le lunghe cerimonie religiose, al suono delle trombe d’argento il Principe con il magnifico seguito rientrava in Palazzo Ducale e cominciava allora il banchetto, uno dei cinque banchetti che la Repubblica, secondo l’antico costume, offriva ogni anno alle principali rappresentanze e alle varie magistrature. Questo banchetto di San Marco era anche chiamato dal popolo “el pasto de le tre pignocade” poiché era uso a metà del pranzo servire tre pignocchiate, specie di pasta dolce con assai pinocchi, confezionate in tre maniere diverse, ma il Serenissimo Andrea Grittifo molto vario di pasti soleva far li altri, et in loco di pignocade” fece servire tre piatti di pesce regalato, come il solito, dalle comunità di Chioggia, di Caorle, di Marano e di Grado.

Verso la fine del banchetto entrò nell’aula del Maggior Consiglio, dove erano state preparate le mense, “uno Zuane Polo bufon con un altro et feno molti zioghi et lazzi” tra le risa dei patrizi e dello stesso Andrea Gritti che amava molto quelle scene umoristiche e festose di sana allegria.

In quel pomeriggio, mentre si banchettava in Palazzo Ducale, sier Marin Sanudo, l’autore dei Diari famosi, passeggiava tutto solo sul molo di San Marco, quando giunse al traghetto del Ponte della Pagia, una barca a smontò “frate Ilario da la Zueca, vicario zeneral di l’ordine di santo Stefano, electo poco fa a Coniol“, Coniolo in provincia di Alessandria, e da cinque giorni a Venezia per visitare i conventi dell’Ordine.

Frate Ilario era accompagnato da un altro frate “et come fo smontato a la riva le vene uno contro vestito da prete e a la longa et senza parlar li dete di uno fuseto (pugnale) nel pecto et lui cadete in terra“. Accorse il Sanudo ma l’assassino era già fuggito e il povero Ilariomesso in barca fo portato in monastero di san Zorzi Mazor ove li fo dato l’oio santo et subito espirò digando: Dio mio! Dio mio!“.

Il Consiglio dei Dieci pubblicò il giorno dopo un bando a Rialto e a San Marco offrendo il premio di cinquecento ducati a chi avesse scoperto l’assassino, ma ormai il prete, il finto prete si crede, era lontano e il delitto rimase sempre un mistero.

Soltanto una donna tale Marina da Mestre, conclude il Sanudo, abitante la Calle degli Albanesi, aveva visto in quell’ora nel sottoportico accanto alla sua casa, un prete spogliarsi della lunga veste talare, indossare un tabarrino di seta rossa e coprirsi il volto con una maschera, ma non fece caso poiché nel giorno di San Marco erano permesse le maschere fino a mezzanotte.(1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 23 aprile 1931

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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