Lo spaventoso terremoto del 26 marzo 1511

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San Costantino Magno, sul coronamento della facciata principale della Basilica di San Marco, posto in sostituzione di quello caduto durante il terremoto del 1511

Lo spaventoso terremoto del 26 marzo 1511

Da quasi una settimana sul cielo delle lagune compariva al tramonto, verso l’isola di San Giorgio Maggiore, una grande cometa che pareva “in aere una lunga coda di leo tutta fuoco et assai longa“. Eravamo nel mese di marzo del 1511, il popolo era tutto spaventato per quel terribile segnale che, secondo la superstizione dei tempi, prediceva grandi sventure, e per una strana coincidenza la credenza superstiziosa si avverò. 

Scrive il Sanudo che il giorno 26 marzo del 1511, alle ore 20 e 45, all’improvviso venne a Venezia un grandissimo terremoto(*), sembrava che le case camminassero, i muri si aprissero e i campanili si piegassero,  l’acqua nei rii bogiva (bolliva) come fosse messa sul fuoco, e si disse che alcuni rii, nonostante fosse tempo di aqua grande (acqua alta) si asciugassero. Durò il terremoto per lo spazio di un miserere, fu orribilissimo, considerando in quale pericolo erano gli abitanti della città, insolita a simili terremoti, e da più anni mai avvertito.

Le campane dei campanili suonarono da sole in molti luoghi e massime in San Marco, e fu una cosa spaventosa. Nel momento del terremoto era riunito il Senato a Palazzo Ducale, i lavori erano appena iniziati quando, udito il rumore e il tremare della sala, i senatori si alzarono e tutti corsero giù per le scale di legno (ancora non era stata fatta la Scala d’Oro) con tanta celerità che molti furono portati da alto in basso “senza tochar schalin alcuno con li piedi“, tanto era la calca che seguì.

Dalla facciata principale della chiesa di San Marco caddero quattro statue di marmo: erano le statue di San Costantino, San Dimitri, San Giorgio e San Todaro, tutti santi greci. Dalla facciata dalla parte di San Basso cadde una statua di marmo che rappresentava la Prudenza, e che stava in mezzo a delle altre. Nel Molo, cadde la statua della Giustizia che stava sopra il balcone della Sala del Maggior Consiglio, ma il San Marco, che stava anch’esso sopra il balcone, rimase ben saldo.

Cadde, nella corte del Palazzo Ducale, la metà di un merlo,  di quelli di marmo intagliati con dei gigli, che stavano sopra la Sala del Maggior Consiglio, e cadendo s’impiantò “col capo dii ziglio in zoso (con il capo del giglio all’ingiù)”, e molti trassero da questo un buon augurio, “chè il zigìio, eh’è l’arma di Franza, cascherà e ruinerà, che Idio el voglia per ben de Italia flagelata da questi barbari”, la guerra contro i collegati di Cambrai era iniziata tre anni prima.

Il campanile di San Marco, per il muoversi, ne risentì molto sulla sommità che si aprì, e non si potevano più suonare le campane, “ni terza, meza terza, nona, vesporo, ni altra campana; cossa che mai è stata questa terra, senza suonar tal hore canoniche, un zorno”. La Loggetta del campanile, dove si ritrovavano usualmente i patrizi, per le pietre cadute dalla cima del campanile, ebbe il tetto fracassato. In chiesa di San Marco cadde parte del mosaico del soffitto. A Rialto cadde una croce di ferro con il piede di pietra viva, che stava sopra la chiesa di San Giacomo, e si conficcò nel colmo del portego, e rimase in piedi, “eh’ è segno cussi, come quella chiexia fo la prima, che dii 421, a dì 25 marzo, fo edifichata, principiando la cità di Veniexia, chiamata Rivoalto; el qual zorno fó eri”.

Tutti erano sbigottiti, chi correva nei campi e nei campielli, chi nelle calli, chi si mise a pregare, chi non sapeva più cosa fare. Molte donne si ammalarono, e donne gravide partorirono prematuramente dalla paura, e senza doglie.  Quella notte molta gente andò a dormire in barca, chi negli orti, chi nei campi, temendo un nuovo terremoto. 

Il giorno seguente andò in Collegio, il patriarca Antonio Contarini, il quale asserì che il terremoto era un “signa Dei et propter peccata veniunt adversa (un segno di Dio contro di noi a causa dei nostri peccati)”, disse che la città era piena di peccatori e di peccati, primo fra tutti la sodomia, che si faceva dappertutto, con le meretrici che si lamentavano perché nessuno andava più da loro e che non avevano più di che vivere, tanto era diffuso l’abominevole vitium. Il patriarca Contarini disse anche che la città era diventata poco devota, perchè non si predicava più il verbo divino (le prediche infatti erano state sospese da un mese, come atto di  prevenzione contro la peste) e che in quel tempo di mezza quaresima, quando normalmente si era confessata almeno la metà degli abitanti della città ora si erano confessate solo alcune “pizochere e pochissime persone“, e annunciò di voler ordinare un digiuno di “tre zorni a pan e aqua, per plachar la ira de Dio“. Il doge e gli altri consiglieri del Collegio lo ringraziarono, e promisero di provvedere in merito alla sodomia.

Così il patriarca Contarini ordinò a tutti i predicatori, deputati per le chiese, di riprendere a predicare, e quella sera i piovani  iniziarono a fare le processioni nelle loro contrade, cantando le litanie, che era “uno grandissimo tremor a veder“, e venne elevata sulla riva del Carbon una Madonna, che venne chiamata dal popolo la Madonna del Terremoto. Tutte cose lodevoli, commenta il Sanudo, che servivano “ad bonos mores et ad religionem”, ma che non servivono come rimedi contro i terremoti, che erano una cosa naturale, e contro i quali “nihil valebat“. (1) 

ConoscereVenezia

(*) Il terremoto ebbe il suo epicentro a Idrija in Slovenia, fece molte distruzioni a Gemona, Cividale, Udine in generale in tutto il Friuli, con circa 10.000 vittime. Un mese prima del terremoto, il 27 febbraio 1511, vi fu, in Friuli, la rivolta del crudel zobia grassa (crudele giovedì grasso).

(1) I Diari di Marin Sanudo. Tomo XII (26 marzo del 1511)

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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