L’esumazione del vescovo Antonio Pizzamano

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Campo San Pietro. Casa con resti probabilmente dell'antico Battistero e dell'Oratorio di San Giovanni. Sestiere di Castello

L’esumazione del vescovo Antonio Pizzamano

Nella contrada di San Basilio, comunemente chiamata San Basegio, proprio in campo dirimpetto la chiesa, abitava nella seconda metà del 1512 il reverendissimo domino Antonio Pizzamano di famiglia patrizia e vescovo di Feltre.

Dalla sua sede vescovile era ritornato a Venezia molto ammalato volendo, come più volte egli stesso aveva affermato, morire nelle sue lagune, nella gloriosa città di San Marco, e difatti nel pomeriggio del 30 ottobre 1512 il vescovo moriva lasciando nel suo testamento la casa di cui era proprietario al fratello Domenico e ordinando che il suo corpo fosse sepolto a Castello, nella cattedrale.

Il primo novembre si fecero i funerali “l’episcopo fo portato in chiesa di san Baseio, vestito da messa con la mitra biancha in testa“, e dopo una breve funzione deposta la salma sopra un cataletto coperto da un drappo d’oro “et seguita dal capitolo di Castello, di san Marco e di contrà di san Baseio” fu trasportatta nella chiesa di Castello dove venne messa in un deposito provvisorio finché si fosse restaurata una cappella nella quale il defunto aveva stabilita la sua sepoltura.

Questo vescovo dice il Sanudo nei suoi Diari “è morto con optima fama, intesi portava cilicio adosso, né dormiva in letto ma sora un tavolone, era molto lemosinario, doctissimo et bon servo di Dio“.

Passarono così sette anni quando un bel giorno, ai primi di gennaio del 1519, il patriarca domino Antonio Contarini, eletto un anno dopo la morte del vescovo di Feltre, visitando la cattedrale di San Pietro di Castello per alcuni restauri urgenti che si dovevano fare, seppe della sepoltura provvisoria di domino Antonio Pizzamano, e dette subito ordine di cominciare e di prestamente allestire i lavori della cappella a sinistra dell’altare maggiore dove la salma del buon vescovo doveva stabilmente riposare. E difatti il 5 luglio di quello stesso anno, 1519, il lavoro era terminato e quattro giorni dopo il patriarca ordinava l’esumazione e il trasporto della salma del Pizzamano con solenne cerimonia alla quale dovevano intervenire tutti i parroci delle parrocchie veneziane e i tre capitoli di Castello, San Marco e San Basilio.

La funzione avvenne nella mattina del 9 luglio, una mattina splendida di sole e di colori, quasi tutta Castello era corsa in chiesa e nel campo di San Pietro tutto imbandierato “et nel levar di la cassa si rupe parte di quella et fo visto il corpo integro: per il che fo alora roto la cassa et trovato el corpo integro con li habiti da vescovo, videlicet (cioè) calze damaschin biianche nove, vanti (guanti) in man et la mitria ilesa et cussì el vestimento et el corpo tutto integro con le orechie, capelli tosi (tosati) et fino li peli et le unghie cressute, et lui parea dormisse uno pocho biancho in el viso sereno“.

A quel singolare avvenimento i preti, alcuni patrizi e la folla di popolo che assistevano alla cerimonia furono presi da gran meraviglia per quel miracolo e tutti dissero “esser stato anima bona et nel numero dei beati, et di ordine del patriarca fo portato di suso in la soa cappella nel palazzo sopra l’altar“.

Si accesero d’intorno all’altare gran numero di cere, le campane di Castello suonarono a distesa, e la notizia ben presto si sparse per tutta la città “di quello corpo integro” dopo sette anni di sepoltura. Una gran folla accorse con fiori, candele, regali d’argento al palazzo patriarcale di san Pietro e con alcuni patrizi, narra Marin Sanudo, “io fui a vederlo: è cosa miranda come è integro; io in vita el conobi, era mio amico, et par che ‘l dorma“. Anche il doge, il Serenissimo Leonardo Loredan, volle veder quel miracolo e con i suoi Consiglieri si recò a Castello: lo accolse con gran cerimonia il patriarca Contarini e i canonici di San Pietro e il doge rimase anche lui grandemente meravigliato “di quello morto quel parea cosa viva“.

Il patriarca mandò subito un corriere speciale a Roma raccontando il miracolo e proponendo la santificazione del Pizzamano, ma mentre il corriere correva a briglia sciolta verso la città eterna il corpo del vescovo di Feltre, esposto in quel nuovo ambiente tra il caldo della stagione e quello degli innumerevoli ceri si andava decomponendo rapidamente.

Dopo due giorni, bruciando incenso e portando fiori per attenuare l’odore cattivo che si diffondeva per la cappella patriarcale si dovette in fretta seppellire la salma nella cappella restaurata e così finiva il miracolo del vescovo Pizzamanohomo doctissimo et bon servo di Dio“. (*) (1)

(*) Il vescovo Antonio Pizzamano venne sepolto nell’oratorio del battisterio accanto al palazzo patriarcale, a San Pietro di Castello, ed qui alcuni anni dopo, il patriarca fr. Gerolamo Quirini, che lo aveva conosciuto di persona e ne aveva ammirato le virtù, gli fece porre l’epigrafe sepolcrale che recitava: “ANTONIO . PIZZAMANO . EP . / FELTRENS . FR . HIERONIMVS / QVIRINVS . OR . PRAED. / PATRIARCHA . VEN. / MONVMENTVM / M. D. XL.” (2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 15 ottobre 1931.

(2) Giuseppe Cappelletti. Le Chiese d’Italia. Vol X. Editore Giuseppe Antonelli 1854 Venezia

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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