L’ambasciatore Giovanni Sagredo alla corte di Francia

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Palazzo Sagredo a Santa Ternita. Sestiere di Castello

L’ambasciatore Giovanni Sagredo alla corte di Francia

Quando nel 1652 Giovanni Sagredo (ramo di Santa Ternita) ebbe l’annuncio della sua nomina ad ambasciatore a Parigi, fu sul punto di disperarsi.

Aveva 36 anni, un’età troppo giovane per tali incarichi che per solito venivano affidati a persone assai mature ed esperimentate; moglie e figli che amava teneramente e che avrebbe dovuto abbandonare per chissà quanto tempo; a, ciò che più conta, pochi beni di fortuna, insufficcienti a mantenere il fasto della sua carica.

Ma ribellarsi al governo della Serenissima non era cosa prudente; egli sapeva infatti a quali gravi sanzioni si esponeva quel patrizio che avesse rifiutato una qualsiasi carica pubblica.

A toglierlo da ogni perplessità intervenne lo zio Pietro, Procuratore di San Marco, il quale gli ricordò: che i possessi di un veneziano dovevano considerarsi beni della patria concessi in usufrutto. E per dimostrare coi fatti la verità di quanto diceva, consegnò al nipote la chiave del proprio scrigno affinchè se ne servisse “ad libitum“; senza limite.

Giunse il Sagredo in Francia durante un periodo di rinnovati torbidi. Mazzarino reggeva il timone del governo, avversato dal popolo, dal Parlamento, dalla nobiltà, dai principi del sangue.

In mezzo a tanta passione politica, il Sagredo non perde il controllo del proprio giudizio e sa pesare uomini ed avvenimenti con una obbiettività che fa stupire ancor oggi.

Il Mazzarino, tartassato da quasi tutti gli scrittori francesi dal Larochefoucauld, al Voltaire ed allo stesso Michelet, venne riabilitato dalla critica moderna; infatti la sua figura viene oggi ricostruita sulle stesse linee a noi trasmesse dal grande psicologo Sagredo.

Costui parla con ammirazione di questo dittatore italiano che vuole salvare la Francia a dispetto dei francesi; di quest’uomo che dedica tutta la sua vita all’amore di una Regina (con cui, non vi ha dubbio, si era legato maritalmente); alla sacra tutela di un Re fanciullo, figlio forse della sua carne e del suo sangue, certo dell’anima; al culto di una patria di elezione che premiava i suoi nobili sforzi con volgari insulti, obbrobriose vendette, minacce sanguinose.

Anima grande quella del Mazzarino, che sdegnò sempre il tradimento, anche se dovette talvolta usare le armi della diplomazia corrente, quali sono la frode e la menzogna, al servizio però di una nobile causa.

Quando il Re Luigi XIV, d’accordo con sua madre, lo scongiurava di dargli in moglie sua nipote Maria Mancini, egli rispose fiero: Amo mia nipote, amo ancor più voi e mi dò pensiero soprattutto della vostra fama e della salute dello Stato. Credo d’aver per voi lo stesso affetto di vostra madre … ma appunto da questo attingo la forza d’oppormi. Ed il matrimonio fu mandato a monte.

A leggere le relazioni del Sagredo, par di rivedere la vita francese d’allora come pochissimi storici seppero mai riprodurre. E non è da credersi che nel ritratto grandioso che il Sagredo fa del Mazzarino, c’entri del sentimento. Dal Mazzarino il Sagredo ottenne politicamente ben poco, tra cui qualche solenne sgarberia.

Una volta che l’ambasciatoreveneto pregò il Ministro in favore di un concitadino, si sentì rispondere con asprezza: Non prendetevi tanti rompimenti di capo. E il Sagredo che sapeva, quand’era il caso, assumere tutta la maestà altera di rappresentante della Serenissima, scattò: La mia patria è nata e cresciuta nel grembo della pietà … e come vuole Vostra Eminenza che io degeneri?

Malgrado ciò il nostro si mantenne spassionato nei suoi giudizi, e nei periodici rapporti alla Serenissima non mancò mai di descrivere il Mazzarino in tutta la sua drammatica grandezza.

La morte dello zio Piero, avendo messo il Sagredo in seri imbarazzi finanziari, costui chiese il suo richiamo a Venezia. Supplico Vostra Serenità (scriveva al doge), con la più profonda humiliatione del cuore esaudire le mie supplicationi accompagnate dalle lagrime di cinque innocenti figliolini che sospirano il mio ritorno. Ma il Governo fa il sordo; anzi qualche tempo dopo, avendo bisogno di un esperto diplomatico in Inghilterra, dove il Cromwell mette tutto a soqquadro, il Sagredo viene mandato a Londra.

Il Re di Francia, la Regina, il Mazzarino, gli inviano allora doni preziosi di commiato; un orologio adorno di gemme, un ritratto della Regina incorniciato di diamanti, un diploma firmato da Luigi XIV con la concessione di portare nello stemma i tre gigli d’oro. Benchè fosse stabilito che i doni ricevuti dagli ambasciatori passassero allo Stato, Venezia concesse al Sagredo di conservare personalmente quelli a lui elargiti dalla Francia.

E della Francia egli serbò così caro ricordo, così apertamente mostrò sempre la sua ammirazione ed il suo affetto per quella nazione, che i Veneziani lo soprannominarono con una certa ironia il Francese.

(1) ATI’. IL GAZZETTINO, 25 ottobre 1934. Vedere anche Nerina Conigliani. Giovanni Sagredo. Emiliana Editrice Venezia

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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