Il Capitano grando Cristofolo Cristofoli

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Giovanni Grevembroch. Gli abiti de Veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII. Capitano Grande

Il Capitano grando Cristoforo Cristofoli

Fu l’ultimo di quella schiera fedele dei “Capitani grandi over Fanti dei Cai” (dei Capi) al servizio di tre Inquisitori di Stato, il severo tribunale segreto della Repubblica “a sostenimento dello Stato et de la pubblica libertà, a disciplina et moderazione de l’ordine patrizioMissier grande era il capo dei fanti del Consiglio dei Dieci, mentre il Capitano grande era l’unico rappresentante del potere esecutivo degli Inquisitori ed egli da solo poteva, agendo in nome di quelli, reprimere qualsiasi ribellione, arrestare che si fosse, eseguire qualunque ordine.

Cristofolo Cristofoli, con la “soa veste paonazza, la toga nera averta davanti, braghesse e calze nere e alla cintura una spada longa con ponta acuta“, era conosciuto dall’intera città, uomo inflessibile, vedeva tutto e sapeva tutto, ma trattava sempre ogni cosa con una certa bonarietà e tiepidezza (ironia) tutta veneziana. Amava la Repubblica con fede cieca e i tre Inquisitori con venerazione idolatra.

Negli ultimi dieci anni che precedettero la caduta della Repubblica molti patrizi cercarono di vendere preziosi oggetti d’arte per far denaro, e fra questi i Grimani di Santa Maria Formosa avevano già firmato il contratto per la vendita all’estero della famosa statua romana di Marco Agrippa.

Il 2 agosto 1784,essendo già pronti gli uomini per levare il colosso dal piedistallo, comparve il tenuto Cristofori, il quale, toltosi il berretto dinanzi alla statua disse ad alta voce: “El supremo Tribunal dei Inquisitori, avendo sentio che ela, sior Marco, vol andar via de sia cità, el me manda per augurarghe un bon viazo a ela e a so zelenta Michiel Grimani“. Il patrizio, capito il bergamo (*), prevedendo una condanna di bando, annullò subito il contratto.

Così nel 1788 Antonio Farsetti, bisognoso di denaro, aveva chiuso la sua galleria d’arte fino allora aperta al pubblico, cercando di venderla al migliore offerente. Intervenne il terribile Capitan grande che rivolto al patrizio diceva: “Lustrissimo, me manda i mii paroni a dirghe che i vegnirà a visitar la galeria; la tegna la porta ben averta per non farli aspettar“. E il Farsetti dovette attendere la caduta della Repubblica per mettere in esecuzione i suoi progetti di vendita.

Nel casino in Piscina San Moisè del procuratore Giorgio Pisani, spirito fatuo e fanatico di giacobino, c’era il 2 giugno 1780 una riunione di malcontenti. Si batte all’uscio ed entra messer Cristofoli: “Excellentissimo”, dice al Pisani, “el Supremo Tribunal la invida a Verona, sta note se dorme a la Zueca e a l’alba se parte“. Difatti il Pisani dormì alla Giudecca, e alla mattina era in viaggio per il castello di San Felice in Verona.

Le idee nuove di Francia avevano diffuso per tutto lo Stato veneto la massoneria, e nel 1785 anche a Venezia era sorta una loggia in una casa di Agostin Contarini a San Simeone. Il 6 maggio la loggia ebbe la visita del Cristofoli. I patrizi erano fuggiti e a un vecchio custode egli disse: “Vegno far pulizia!” e sequestrò carte, mobili, emblemi che furono bruciati nel cortile del Palazzo Ducale al grido di: “Viva San Marco“.

Caduta la Repubblica, Cristoforo Cristofori morì ad Oriago nel 1803. (1)

(*) capire il gergo, il discorso oscuro, ec.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 4 giugno 1926

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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