Il viaggio di Pietro Querini per i canali di Fiandra, il naufragio e la scoperta dello stoccafisso (baccalà)

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Mercato del pesce di Rialto

Il viaggio di Pietro Querini per i canali di Fiandra, il naufragio e la scoperta dello stoccafisso (baccalà)

Nel quale partito da Candia per ponente l’anno 1431 incorre in un orribile e spaventoso naufragio, del quale alla fine con diversi accidenti scampato arriva nella Norvegia e Svezia regni Settentrionali.

Sier Piero Quirini* partiva da Candia (Creta), il 25 aprile 1431, su un cocca carica di malvasia, odoriferi cipressi lavorati, pepe e zenzero e altre assai ricche mercanzie, per andare in ponente, e dopo aver costeggiata, per il contrasto dei venti contrari, gran parte della Barberia, uscirono dallo stretto di Gibilterra. Toccarono, alla bassa di San Pietro, con la nave uno scoglio e riportarono danni al timone e alla colomba (chiglia) della nave, per cui raggiunta Calese (Cadice) il 5 di giugno, immediatamente misero a carena la nave, e in giorni 25, non senza difficoltà, rimediarono il tutto. E poiché ebbero notizia della guerra scoppiata tra Venezia e Genova, furono costretti ad accrescere il numero dei combattenti a bordo, sicchè raggiunsero le 68 persone, ed il giorno 14 di luglio ripartirono. Ma a causa della nuova rotta per evitare eventuali navi genovesi e per i venti contrari di nord-est volteggiarono per 15 giorni intorno alle Canarie, poi fortunatamente cambiato il vento arrivarono a Lisbona il 2 di agosto, qui rimasero fermi per altre riparazioni e ricaricate nuove vettovaglie ripresero il mare il 14 di settembre.

Dopo aver doppiato capo Finisterre e percorso altre 200 miglia, il 5 di novembre, cessato il prospero vento, si levò quello da levante e da scirocco, il quale, se fosse durato, li avrebbe fatti entrare nel canale di Fiandra, ma accrescendosi di ora in ora la possanza e l’impeto di questo, furono ribattuti fuori della rotta e spinti sopra le isole di Sorlinga (Isole Scilly). Il 10 di novembre, alla vigilia di San Martino, per la forza e l’impeto del mare, si ruppero le cancare (sostegni di ferro) del timone, e si ritrovarono dunque nell’impetuoso mare senza alcun governo, con il fortunale che li spingeva sempre più allontanandoli dalla terra. Il 25 di novembre, giorno dedicato a Santa Caterina, tanto aumentò la rabbia del mare e dei venti che tutto l’equipaggio si raccomandò a Maria Vergine e a tutti i santi del paradiso. Già per le continue piogge e per la furia del venti la vela, molto indebolita, iniziò a squarciarsi, e poi ne furono del tutto privati, la nave era ora ridotta senza vele e senza timone. Il 4 di dicembre, festa di Santa Barbara, furono vinti e superati dalla possanza di quattro venti uniti, così l’infelice nave sprofondò oltre l’usato, nondimeno che fossero mezzi morti, gli uomini della nave dovettero stare nell’acqua fino a mezza persona ed a svuotarla. Il giorno 7 di dicembre, rinfrescandosi di nuovo il furore del vento ed ingrossandosi il mare, furono di nuovo sommersi, di sorte che la nave s’ingallonò, e dalla banda di sottovento senza trovare contrasto l’acqua entrava dentro. Alla fine per ultimo rimedio decisero di tagliare l’albero, pensando che la nave, alleviata da quel peso, dovesse alquanto respirare e sollevarsi, ma con la nave spogliata di tutto, cominciò ad andare più alla banda, di modo che le onde del mare più facilmente vi entravano.

Decisero quindi di mettere la barca di salvataggio e lo schifo in acqua, e con esse provare ad andare a terra, piuttosto che morire di fame nella nave priva di timone, di albero, di vela, e lontana dall’isola dell’Irlanda, che pur era la più prossima terra verso levante, oltre 700 miglia. Prepararono dunque le piccole fuste per abbandonare la nave, 47 uomini s’imbarcarono nella barca maggiore, altri 21 furono contenti di andare nello schifo. Il giorno 17 di dicembre, essendosi fatta alquanto di bonazza, con grande difficoltà misero le piccole fuste nel grande e spaventoso mare, al far del giorno. Ma al mutare della barca non si mutò la fortuna, quella stessa notte furono costretti a gettare gran parte delle vettovaglie che avevamo caricato, ed altri strumenti necessari a salvamento della fusta, poi persero i contatti con quelli dello schifo, e continuando a fare acqua, sette uomini per volta, eravamo costretti a vuotarla. Dunque per le sofferenza patite alcuni cominciarono a morire, senza mostrare alcun segno mortale in un momento cadevano morti, e dal 19 al 29 dicembre morirono un giorno due, un altro giorno tre o quattro, e furono quasi tutti di quelli che nella nave vivevano più dissolutamente, dandosi alla crapula. Nel giorno 29, mancando del tutto il vino, si arrivò a tale estremità, che molti bevevano l’acqua salmastra, e così l’uno dopo l’altro, secondo la loro costituzione, mancavano di vita.

In questo miserrimo stato continuarono per cinque giorni, ed il dì 4 gennaio, avanti il fare del giorno, navigando con soavissimo vento per greco, un marinaio, che si trovava verso la prora, vide un’ombra di terreno avanti a loro a sotto vento, e con le vele in poppa cacciando il vento, a circa ore quattro di notte giunsero sotto il detto terreno che era il solo luogo dove potesse ben capitare. Quelli che si trovavano dalla parte della prora saltarono immediatamente in terra, quale trovarono tutta coperta di neve, di questa neve ne presero senza misura per raffreddare le viscere arse ed asciutte. Alla fine discesero tutti i sedici uomini rimasti di quarantassette, ma nella notte la barca venne sbattuta sulle pietre ed in diverse parti si aprì e colò a fondo. Fecero con le vele e coi remi della barca due piccole tende, sotto le quali si ricoverarono dall’inclemenza del tempo, ed avendo spaccati alcuni legni della barca fecero del fuoco per riscaldarsi. Essendo i superstiti in tale misero stato, tre degli infortunati compagni, di nazione spagnola, uomini robusti e ben formati, spirarono, forse per aver bevuta l’acqua del mare. Per undici giorni, andò il servitore di Sier Quirini a raccogliere chiocciole e pantalene, perchè altro non c’era da mangiare, finché avvenne che nell’estrema parte dello scoglio trovò una casetta fatta di legnami, perciò decisero di andarvi per trovare riparo e coperto.

Si trovava questo scoglio alla distanza di otto miglia da un altro abitato da pescatori, tra i quali ve ne era uno che aveva lasciato alcuni suoi animali nel primo, uno dei figliuoli di questo pescatore andò a sincerarsi come stavano, e dal fumo che usciva della provvisoria casetta si avvide che qualcuno vi dimorava. E mentre morivano altri due compagni di sventura, gli abitanti di quell’isola si determinarono di salvarli, e venne in loro aiuto anche un frate cappellano, dell’ordine di San Domenico, che parlava latino e quindi si potevano facilmente capire.

Vi erano in Rustene**, questo era il nome del villaggio di pescatori, circa dodici capanne abitate da 120 anime, non di altro si mantenevano che del pescare, tre mesi dell’anno, cioè giugno, luglio ed agosto, che era sempre giorno, e non tramontava mai il sole, mentre nei mesi opposti era sempre quasi notte, e sempre avevano il lume di luna. Prendevano innumerevole quantità di pesci, e solamente di due specie di cui facevano assai grande commercio, quelli di una specie si chiamavano stocfisi, gli altri erano passare, ma di mirabile grandezza. Seccavano i stocfisi al vento ed al sole senza sale, e perchè erano pesci di poca umidità grassa, diventavano duri come legno, quando poi li volevano mangiare, li battevano col rovescio della scure, il che li faceva diventare sfilati come nervi, poi li condivano con butirro (burro) per dar loro sapore. Nel mese di maggio si partivano da quello scoglio con una nave carica di pesci, che conducevano a Bergen, colà arrivavano molti vascelli carichi di tutte le cose che nascono in Germania, Inghilterra, Scozia e Prussia, necessarie al vivere ed al vestire. E quelli che conducevano detto pesce lo cambiavano in cose a loro necessarie, senza far uso di nessuna moneta, quindi fatti i loro baratti, se ne tornavano indietro, sempre riservandosi di poter imbarcare legna da bruciare per tutto l’anno.

I naufraghi si fermarono a Rustene tre mese e giorni undici fino a che venne il tempo di maggio, e si prepararono ad andare con i pescatori a Bergen, non prima di averli compensati, con le tutte le loro poche sostanze rimaste. Partirono alla fine di maggio, nella stagione che già tanto era cresciuto il giorno, navigando alla via di mezzogiorno e allontanandosi dalla regione settentrionale. Così trascorsi quindici giorni, col vento quasi in poppa, giunsero presso Trontheim, e intendendo che si faceva guerra tra gli Alemanni ed il re di Norvegia, deliberarono di non andare più oltre. Domandarono consiglio ed aiuto su come dovevano fare per addrizzarsi verso la Germania ovvero l’Inghilterra, venne loro suggerito di andare a trovare un certo veneziano chiamato Zuan Franco, fatto cavaliere dal re di Svezia, il quale abitava in un suo castello in quel regno. Camminarono cinquantatré giorni verso levante finché raggiunsero a Stichimborgo da sier Zuan Franco. Per quindici giorni dimorarono con lui, che cercava di ben trattarli con opere e con parole, poi partirono alla volta di Vastena dov’era la chiesa di Santa Brigida. La vigilia della festa di Santa Brigida, ebbero notizia che a Lodesa, porto di mare lontano otto giornate da Vastena, vi erano due navi destinate, una per la Germania l’altra per l’Inghilterra, e il 17 di agosto presero licenza dal cavaliere Zuan Franco. A Lodesa il vascello destinato per Rostoch essendo pronto a mettere alla vela, Niccolò di Michiel, Cristoforo Fioravante e Gherardo di Lione, vi s’imbarcarono. Pochi giorni dopo sier Piero Quirini e gli altri sette, largamente provveduti di tutto il bisognevole, partirono il 14 di settembre per l’Inghilterra.

Arrivarono a Ely in Inghilterra, poi a Cambridge, e il giorno seguente giunsero a Londra, dove vennero accolti da sier Vittore Cappello e altri mercanti veneziani, quanta e quale fosse la loro allegrezza, ogni discreta persona lo può comprendere. Dopo due giorni, tre uomini del gruppo vollero partire per andare a fare i loro voti. Dimorarono i rimanenti a Londra circa due mesi, sforzandosi i nobilissimi ed amorevoli mercanti, perchè a loro pareva che fossero ancora troppo deboli e non ben fortificati. Furono da poi vestiti e messi in punto, e venuto che fu il tempo della loro partenza da Londra, forniti di provviste cavalcature e guide e passato che ebbero il mare, si diressero via terra alla volta di Venezia.

Sier Piero Quirini, Alvise Nascimben da Zara e Nicolò Quirini tartaro, famiglio fedelissimo del suo padrone, attraversarono la Germania, e per Basilea, in giorni 42 giunsero al desiderato porto dell’alma città di Venezia. Sier Francesco Quirini di Jacopo mercante e Pietro Gradenigo di Andrea giovane marcante di 18 anni, nobili candioti, fecero altra via incognitamente. I tre che si separarono a Londra, vale a dire Andrea di Piero da Sebenico marinaio, Cola da Otranto marinaio, e Bernardo da Caglieri nocchiero tornarono alle loro case dal 14 al 25 di gennaio 1433. Bernardo da Caglieri aveva, quando s’era imbarcato, lasciata una giovane sposa, cui la lunga assenza del marito, e la pubblica voce, avevano fatto credere che fosse morto, perciò si era rimaritata a Treviso, e vissuta più mesi col nuovo sposo. Quando seppe che ancora viveva il primo, abbandonò subito l’altro, e si ritirò in un convento per espiarvi l’involontario errore che aveva commesso. Ma Bernardo, attribuendo quanto essa aveva fatto ad umana fragilità, ed avendola scusata, le fece così calde istanze, che essa tornò e visse con lui felicemente. Gli uomini che si erano imbarcati in Svezia per Rostock, e cioè Cristoforo Fioravanti, Nicolò di Michiel, escluso Ghirado da Lion che era stato lasciato a Vasenech per il suo paese, arrivarono a Venezia il 12 ottobre del 1432, dopo aver fatto un viaggio non privo di altre avventure. (1)

* Pietro Querini veneziano si presume del ramo di Santa Maria Formosa, molti esponenti della quale ebbero feudi comitali e possedimenti in varie isole dell’Egeo e del Mediterraneo.

** L’isola di Rustene è certamente quella che nelle carte geografiche si trova col nome di Rast o Roest; essa è posta al 68° 5′ di latitudine settentrionale, e fa parte di un gruppo detto isole del Loffodio (Lofoten) lungo la costa di Norvegia.

(1) GIOVANNI BATTISTA RAMUSIO. Delle Navigationi et Viaggi. Volune 2 (Stamperia dei Giunti, 1574)

FOTO: Alfonso Bussolin, www.informatorecoopfi.it. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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