Famiglia Renier
Renier. La famiglia Renier, o Riniero, secondo il Malfatti ed il Frescot, si recò da Ragusi a por stanza a Venezia, nel 1092, ed ascritta al patriziato, rimase poi esclusa nella Serrata del Gran Consiglio. Riassunta poscia, nel 1381, per le benemerenze principalmente acquistate da Nicolò, nella guerra contro i Genovesi combattutasi a Chioggia, produsse in seguito parecchi senatori gravissimi ed uomini in politica, nelle armi e nelle lettere cospicui, e cooperò alla fabbrica della chiesa e del cenobio del Santo Sepolcro.
Sette scudi diversi di questa famiglia reca il Coronelli nel suo Blasone, ma il più usato da essa è quello sottoposto all’immagine del nostro doge; e risulta partito d’argento e di nero, con uno scaglione dei colori opposti.
Il Doge Paolo Renier nacque da Andrea e da Lise Morosini il 21 novembre 1710, e fin dagli anni più teneri si diede a studiare con tutto l’animo i classici greci e latini, per cui divenne uno dei più grandi oratori del tempo suo, sì per lo acuto suo ingegno, e sì per la sua lucida, vigorosa ed insinuante eloquenza. Subito pertanto a gran nominanza, si vide facilmente aperta la via alle più cospicue cariche dello Stato, sicché dopo molte magistrature sostenute, tra cui quella di senatore, e, nel 1762, di riformatore dello studio di Padova, lo troviamo poi, nel 1764, eletto ambasciatore alla corte di Vienna, e partito a quella volta l’anno appresso, ivi rimaneva fino al 1769. Nel 1771 fu mandato bailo a Costantinopoli, ritornando in patria nel 1776, in cui fu fatto consigliere, e nel 1779 censore, nella qual carica essendo, morto il doge Alvise IV Mocenigo, fu elevato alla suprema dignità della Repubblica, siccome più sopra narrammo. Intorno poi alle accuse mosse contro la sua fama dal Paravia e dal Mutinelli, che lo accagionarono, l’uno, di apostata sleale del partito dei novatori, di cui si mostrava aderente nel 1762, quando propugnò la causa contro il Consiglio dei dieci e degli inquisitori di Stato; l’altro, cioè il Mutinelli, di sordido avaro, di abusatore dei suoi uffici, per trarne vantaggio, di ambizioso oltre ogni dire, e di libero muratore, il conte Girolamo Dandolo, nella sua opera La caduta della Repubblica di Venezia, ec., dimostrò patentemente calunniose quelle accuse; ed è utile che il lettore lega quanto egli dettava in proposito. (1)
(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI
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