Famiglia Da Ponte

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Campo de la Tana, 2169C (Castello) - Stemma Da Ponte

Famiglia Da Ponte

Da Ponte. Discordano i genealogisti, come sempre, intorno all’origine della famiglia Da Ponte, alcuni volendola derivata dall’isola di Negroponte, altri da Ferrara, ed altri dalla Germania; e Luigi Grotto, nell’orazione recitata al doge Nicolò, la dice, da ultimo, venuta da Corfù. Il Malfatti poi riferisce, che essendosi estinta in Venezia nel 1217 (altri nel 1469), Fantino e Marc’Antonio Da Ponte, avendo provato discendere da quell’antica famiglia, furono ammessi al Maggior Consiglio.

Usò per arme, questa casa, uno scudo con un ponte dorato in campo azzurro.

Il doge Nicolò Da Ponte nacque, nel 1491, da Antonio, e fin dagli anni più teneri fu portato allo studio indefesso delle lettere, sicché, passato alla università patavina, percorse, con alto successo, lo stadio di tutte le lettere e scienze, non eselusa la teologia, onde fu insignito della laurea dottorale, e compose, al del Cappellari, varie opere di geometria, tra le quali quella intitolata La squadra mobile. In occasione che si raccolse a Venezia il capitolo generale dell’ordine dei frati Eremitani, il Da Ponte vi disputò le tesi proposte, con tanto plauso ed ammirazione, che fu lodato grandemente da ognuno, ed in particolare dal cardinale Egidio, preside di quella adunanza. Nel 1513 fu eletto savio agli ordini; e nel 1524 fu scelto dal Senato a pubblico lettore di filosofia, onde due anni dopo recitò l’orazione funebre a Girolamo Adorno, ambasciatore di Curlo V, morto in Venezia. Nel 1530 fu mandato governatore a Corfù, ove spense, con la sua prudenza e coraggio, le discordie insorte fra gli abitanti e la guarnigione, e rifabbricò le mura cadenti. Nel 1537 fu promosso a senatore della giunta; nel 1539 avvogadore di comun, e l’anno appresso luogotenente di Udine, cui provvide di un acquedotto. Nel 1511 venne spedito ambasciatore a Carlo V. Ritornato in patria coperse la carica di savio di Terraferma; e nel 1546 fu destinato ambasciatore a papa Paolo III, dal quale fu creato cavaliere; onore per lo innanzi non mai impartito dai pontefici agli ambasciatori veneziani. Nel 1550 era del consiglio dei X; quindi riformatore dello studio di Padova, e l’anno medesimo si portò ambasciatore di obbedienza a papa Giulio III, assunto allora al pontificato, dal quale fu tenuto carissimo, e come uno dei suoi più intrinseci amici. Negli anni 1553 e 1554 ero savio di Terraferma e consigliere; e passò poscia, nel 1657, podestà a Padova, ove si rese benemerito per l’annona procurata in quel tempo di grande carestia, e restaurò il palazzo di sua residenza incendiatosi, e fondò In fabbrica del Monte di Pietà. Colà essendo, morivagli l’unico figlio, di nome Antonio, sostenendo cotal perdita con rara costanza, ed assumendo in cura del nipote Nicolò, il quale, per i meriti dell’avo, e per quelli suoi propri, veniva poi decorato della stola procuratoria de ultra, il 18 dicembre 1580. Nel 1559 era il nostro Da Ponte spedito ambasciatore a Francesco II re di Francia, per gratularsi della sua assunzione al trono; e l’anno dopo, un’altra volta si recava a Roma ambasciatore d’obbedienza nell’esaltazione al pontificato di Pio IV. Convocato in Trento il concilio, venne il Da Ponte, unitamente al cavaliere Matteo Dandolo, ivi spedito siccome ambasciatore, ed introdotto il dì 25 aprile 1562, fece la sua orazione a quell’augusto consesso. Eletto nel 156O ad ambasciator d’obbedienza, con Girolamo Grimani, Marino Cavalli e Girolamo Zane, a Pio V, nel suo avvenimento al papato, egli, il Da Ponte, si astenne da quell’incarico, sapendosi che Pio era non bene disposto a suo riguardo, per la libertà con cui parlò nel concilio di Trento. Morto Matteo Dandolo, procurator di San Marco de ultra, fu in suo luogo eletto il Da Ponte, il 30 luglio 1570. Nel 1571 copri di nuovo il carico di riformatore dello studio di Padova, e l’anno dopo si recò, siccome ambasciatore, a gratularsi con Gregorio XIII per il suo esaltamento al papato: presso il quale tornò nel 1573, affine di placarlo, sdegnato per la pace conchiusa dalla Repubblica, senza sua saputa, col Turco; e sì eloquentemente parlò, che il pontefice lo abbracciò ce restituì la primiera grazia ai Veneziani. Venuto, nel 1574, a Venezia Enrico III, re di Francia, fu il Da Ponte uno dei procuratori deputati dal Senato a portargli l’ombrello: e l’anno stesso, per la terza volta, sostenne il carico di riformatore dello studio di Padova. Era savio del consiglio nel 1575, e finalmente, nel 1578, venne innalzato alla suprema dignità della patria. Ordinò al Santovino di erigere il suo palazzo a San Maurizio, e ne fece dipinger il fronte da Giulio Cesare Procaccino. Oltre il ritratto di lui, inserito nel fregio della sala dello Scrutinio, si vede espresso, da Jacopo Tintoretto, nell’ampio quadro centrale del soppalco della sala del Maggior Consiglio, in atto di presentare il Senato a Venezia fatta persona, inciso ed illustrato alla Tavola CLXII; e, per mano del Tintoretto stesso è figurato anche nella sala del Collegio, orante in ginocchio davanti alla Madre Vergine, assistito da vari santi; dipinto pur questo inciso ed illustrato alla Tavola LXXXI.

Il monumento che il Da Ponte si ordinava in morte, fu commesso allo Scamozzi dal procuratore di San Marco Marcantonio Barbaro, commissario delegato dal pubblico; e lo Scamozzi lo erigeva degno della sua fama, come dicono lo Stringa ed il Temanza. Sopra un ampio zoccolo si innalzava un ordine composito di quattro spiccate e scanalate colonne, che formavano tre intercolunni. Nel centrale, sotto un arco era disposta l’urna, e sull’urna il busto del principe, scolpito da Alessandro Vittoria: negli intercolunni di fianco erano inscritte due nicchie, che accoglievano altrettante statue lavorate da Girolamo Campagna. Un attico coronava il monumento, tutto di pietra istriana. Soppressa la chiesa della Carità, e convertita, con l’unito monastero e confraternita, nel 1807, ad Accademia di Belle Arti, fu demolito il monumento, e per quanto facesse la presidenza di quella Accademia, perché dalla famiglia del doge fosse conservato, nulla poterono le sue sollecitudini. Ma è decente stendere un velo sopra l’unico superstite di quel principe illustre; e dire soltanto che, a merito del defunto e non mai abbastanza lodato can. Giannantonio Moschini, fu salvato il busto e la inscrizione, che vennero da lui posti nel chiostro di Santa Maria della Salute. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Campo de la Tana, 2169C (Castello) – Campo de la Tana, 2169C (Castello) – Calle del Dose Da Ponte, 2746 (San Marco) – Rio de San Zulian, 5515 (San Marco).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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