La Porta della Carta

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La Porta della Carta

Chi entra nel palazzo per questa maggior porta, detta della carta, costrutta nel 1439 nella ducea di Francesco Foscari da Mastro Bartolomeo, che alcuni confusero con quel mastro Buono architetto delle vecchie Procuratie nato in epoca posteriore, è certamente arrestato a considerane la magnificenza. Né qui solo come architetto veniva Mastro Bartolomeo adoperato; ma anche come scultore. Opera di lui sono quindi graziosi intagli ricorrenti dalla cima al fondo della porta, non che le statue raffiguranti la Speranza, la Carità, la Fortezza e la Prudenza, virtù cosi necessarie al principe che quivi sedeva. Ed in tutto opera assai bella al certo ei fece. Lasciamo di dire e della forma piramidale e dell’intero stile della porta, con che si bene vengono congiunti i due edifici della basilica e del palazzo; niente parliamo sulla bella unione della porta colla finestra superiore donde un tutto ne risulta si gradito; ma i fregi, ma le statue quanto delicatamente e con quale grazia sono mai lavorati! Sino all’epoca democratica del 1796 stava in alto rilievo nel mezzo di questa porta il ritratto del doge Francesco Foscari genuflesso dinanzi all’alato leone; ma in quei popolari trambusti venne distrutto al modo che ora si vede.

Per un interno magnifico loggiato a vólti reali, compiuto nel 1471 sotto il doge Cristoforo Moro, si passa da questa porta alla Scala dei Giganti. Alla fine però di quel loggiato sono degni di osservazione e l’amata ed il prospetto che fanno fronte alla scala medesima. La semplice arcata fu eseguita durante il ducato di Francesco Foscari da quel Mastro Bartolomeo che pur erigeva la corrispondente Porta della carta, il che si ravvisa e dallo stile e dall’arma dei Foscari posta superiormente; ma nel regno di Cristoforo Moro si costruiva il resto del prospetto che tutta ne abbellisce la facciata. Bene l’architetto studiò di condurlo in guisa che non fosse punto differente nello stile da quello dell’arcata cui si congiunge; nondimeno non sì simulato poteva, farlo apparire, che non usasse le colonne nella ragionevole maniera richiesta dal vicino secolo XVI, siccome chi scolpiva le statue non sapeva rinunciare alla parvenza ed al movimento propri di quell’età. Antonio Rizo veronese eseguiva quelle di Adamo ed Eva, che, come l’opera più bella, tanto grido levarono a quei tempi. Ma il circostante cortile richiama le nostre osservazioni.

In un’opera per altro destinata anche alla narrazione dei costumi è mestieri di dire innanzi che nel detto loggiato, interposto tra la Porta della carta e l’arco anzidetto, erano collocati 18 cancelli ciascuno dei quali occupava due persone a diffondere gli scrutini avversi o favorevoli risultati da ogni partito preso dai magistrati, a partecipare alle famiglie patrizie i nobili matrimoni, gli individui assunti alle varie cariche, ed a scrivere in fine suppliche, atti, lettere, ec. L’incerto guadagno ritratto da siffatte occupazioni bastava al decoroso mantenimento degli individui ad esse addetti, che nel dialetto nostro erano chiamati i magna carta, perché dal maggior consumo della carta derivava il miglior essere loro. E forse che anche da quei magna carta si sarà detta della carta la porta introducente al loggiato riferito. Comunque sia, col cessare della repubblica, col morire degli ultimi i quali esercitavano quei carichi, scomparvero i cancelli, e tre soli ora, ne rimangono sdrusciti ad attestare l’antico costume. (1)

ERMOLAO PAOLETTI. Il Fiore di Venezia, Volume II. Tommaso Fontana tipografo edit. Venezia 1839

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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