I maiali di Sant’Antonio di Castello

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Paludo Sant'Antonio. Sestiere di Castello

I maiali di Sant’Antonio di Castello

Nel 1300 le calli di Venezia che s’intrecciavano tra le abitazioni erano strette, anguste, buie, piene d’immondizie; di strade discretamente larghe non si ricordano allora se non quelle di San Marco e di Rialto. Qualche rara via aveva il suolo coperto di mattoni messi per coltello e a spina, ma la più gran parte erano sterrate e quando pioveva il fango era altissimo e nei giorni asciutti la polvere soffocante.

Sulle calli colavano i lavacri immondi delle cucine e i rifiuti della vita, i cavalli correvano per le vie principali e lungo le mercerie sorgevano, a San Salvatore, una ficaia e a San Giuliano un “sambugher” (sambuco) cui si legavano le cavalcature dei magistrati chiamati a consigli al suono della campana, detta “trottera“.

Frequenti erano i decreti del Maggior Consiglio che deploravano la sporcizia della città, ma poco ottenevano poiché la pulizia stradale era fatta da solo sei barche, una per sestiere, affidata agli ufficiali al frumento, con poca armonia, dice il Cecchetti, al loro incarico, e le “scoazzere“, un chiuso quadrato di muro aperto dinanzi per ogni contrada, rigurgitavano di spazzature, chiamate in vernacolo “scoazze“, spandendo per le strade odori fastidiosi.

Nel brago di queste strade trovavano da razzolare i maiali, ospiti poco graditi che andava per la città dal convento di Sant’Antonio e che scorrazzavano dovunque da mattina a sera, ritornando al convento pasciuti soltanto dopo il tramonto.

Nella punta estrema degli attuali Giardini pubblici sorgeva il convento accanto alla chiesa di Sant’Antonio abate, costruito da frate Giotto, priore dei Canonici regolari di Sant’Antonio, e i frati coi ricchi lasciti di Marco Catapan e di Cristoforo Istrigo, e con le cospicue elemosine delle famiglie Pisani, Grimani e Lion si erano provveduti di ogni ben di Dio; possessioni, denaro, facoltà e stalle per le mucche, peschiere per il pesce, gabbioni per i maiali, stie per i polli.

Ma negli ultimi anni del Trecento il priore del convento, Sebastiano Orsetti, chiamato comunemente padre Bastian, aveva trovato una nuova maniera di guadagno: appena sorgeva l’alba faceva mettere in libertà i trentadue maiali del convento, e da un putto che grida: “Li porsei di sant’Antonio!” venivano condotti per la città in cerca di cibo. E i buoni veneziani al passaggio di quella lorda comitiva buttavano dalle finestre sulla strada rifiuti di tutte le specie e i maiali ingrassavano con grande gioia del padre priore del convento. I fanti della signoria avvertirono il priore che i maiali doveva tenerli rinchiusi nel convento, ma il grasso abate non ne volle sapere e continuò nella sua iniziativa.

Fu allora che il patrizio Marco Valier consigliere ducale, portò lo scandalo dinanzi al Maggior Consiglio, il quale dopo una breve discussione, avendo constatato che questi porci andando “sub specie et reverentia sancti Antonii” per la città di Venezia commettevano molti e diversi malanni tanto contro i fanciulli che nelle strade e fondamente per il loro grufolare con danno e sconcio della nostra città, decretava che il priore di Sant’Antonio dovesse tenere quei suoi maiali oltre il ponte, dalla parte della chiesa “in modo che non vadano più per la città, e gli ufficiali tutti che li trovassero altrove, possano confiscarli e dividerseli tra loro“.

Alla minaccia del decreto il padre Bastian cercò di ribellarsi, ma alla sera contando i suoi porci che ritornavano al convento, si accorse che ne mancava uno e il putto disse che era stato preso dagli ufficiali del Consiglio. Capì allora che il decreto era stato messo in esecuzione e da quel giorno Venezia fu liberata dai maiali di Sant’Antonio. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 22 febbraio 1929.

Paluo Sant’Antonio

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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