Famiglia Moro

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Fondamenta San Biagio - Giudecca. Stemma Moro

Famiglia Moro

Moro. Vuole Pier Antonio Moti, nella sua Aquila augusta biceps, che la famiglia Moro traesse l’origine dalla Mauritania; e quindi trapiantatasi in Roma e divisasi in multi rami, si diffondesse in parecchie città d’Italia ed in altri luoghi anche. Uno di cotali rami si piantò in Padova, e colà fiorì con assai lustro, ed ebbe parte nel governo di quella città, di modo che nel 434, venuti alcuni consoli nelle isole realtine, tra questi si annoverò un cotal Albino Moro, dal quale ebbe principio questa casa in Venezia. Così pure afferma il co. Zabarella, nella sua Aula eroum. Lorenzo Longo del pari, nella Soleria, dice derivata da Roma la famiglia in parola; ma in alcune vecchie cronache la si trova venuta da Venosa: ed altri vogliono, tra cui l’Ughelli, nella sua Italia Sacra, aver dessa da prima posto stanza in Malamocco vecchio. In seguito una linea di cotal casa passò ad abitare nell’isola di Negroponte, dove ebbe signoria; ma tornata a ripatriare, nella persona di Francesco Moro, detto perciò da Negroponte, fu tosto rimessa nella goduta nobiltà. Da ciò nacque che il Malfatti ed altri cronocisti, dissero provenuti i Moro da Negroponte, chi assegnando l’accaduto all’anno 1318, e chi al 1388. Certo è però che i Moro posero stanza nelle isole realtine fino dai primordi della Repubblica, sicché produssero tribuni antichi, ed uomini segnalatissimi in ogni grado. Aveva questa casa in juspatronato la parrocchia di Santa Maria Maddalena di Oriago, ed ha tuttavia quello dell’abazia di Santa Maria della Misericordia. Costrusse essa famiglia in parte la chiesa ed ampliò il cenobio di San Giobbe; l’altar maggiore dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca, chiesa ora soppressa, e tiene in altre chiese monumenti onorati.

Cinque scudi, di poco diversi, porta il Coronelli nel suo Blasone di questa casa, ma principalmente e comunemente usò uno scudo bandato d’azzurro e d’argento, sotto un capo d’argento carico di more nere.

Moro. Intorno alla persona del nostro doge, ecco come discorre, con poca diversità, il chiarissimo Emanuele cav. Cicogna, nelle sue Inscrizioni Veneziane: «Cristoforo Moro figlio di Lorenzo q. Jacopo da San Giovanni Decollato, nacque nel 1390. Non risulta dagli alberi di qual nome e di qual casa fosse sua madre. Nel 1412, impalmò Cristina Sanuto, figlia di Leonardo q. Marino; quindi era dessa sorella dell’avo del famoso storico Marino Sanuto. Ci attesta il Papadopoli che Cristoforo fu alunno nella università di Padova. Compiuti gli studi, e ammesso alle cariche della Repubblica, si trova che del 1429, 1.° maggio, era podestà di Chioggia. Colà essendo in tempo di grande carestia di frumento fece fabbricare a pubbliche spese un granaio, in cui s’introducesse tanto frumento quanto bastasse agli abitanti e ai forestieri per un anno. Eletto podestà e capitano a Belluno, nel 1432, prese in consegna quel reggimento da Nicolò Lippomano il dì 16 dicembre. Travagliata quella città per mancamento di biade, ridusse una casa grande ad uso di granaio e la riempì a sollievo di quella popolazione. A Brescia capitano nel 1436, travagliata pure da carestia a motivo dell’assedio posto dalle truppe del duca di Milano, tanto seppe insinuarsi verso quei cittadini colla sua dolcezza e umanità, che nessuno fu che proponesse di cedere la città al nemico ed anche a Cosalmaggiore, nel corso della guerra medesima, avendo io Moro tolto a difendere quella piazza, fece egli più colla eloquenza, e coi modi gentili, che altri non avrebbe cperato con l’armi, tenendo in fede quel popolo. Conchiusa la pace coi Milanesi, il Moro, nel 1442, andò capitano a Padova. Essendo avvogadore, fu al dì 13 marzo 1447, destinato uno fra quattro ambasciatori a Nicolò V, per la sua assunzione al pontificato ; ma impedito da malattia, ottenne dispensa, e fu surrogato Zaccaria Trevisano. Morto Federico Contarini procuratore di San Marco de ultra, venne in suo luogo eletto il nostro Cristoforo, il che fu il dì 14 settembre 1448. Nel 1453 venne nuovamente spedito legato straordinario, con Orsato Giustiniano, a Nicolò V, per trattare la pace con lo Sforza e la lega contro i Turchi; pace che fu conchiusa nell’aprile dell’anno seguente. Tramezzo le ambascerie ebbe in patria gli uffizi di savio del consiglio, di censore, di consigliere e fu del consiglio dei Dieci. Vacante, infine, la ducea nell’ottobre 1457, per la deposizione di Francesco Foscari, concorse il Moro al principato, che ottenne invece Pasquale Malipiero. Narrano questo passo i cronacisti Magno e Franceschi: Come uno zorno, molti anni avanti disnando col Moro San Bernardino li disse che dopo la morte de m. Francesco Foscari lui saria dose, et quando fu fatto in logo dil Foscari lui teniva indubitatamente di essere fatto, et visto fare il Malipiero lui quodammodo perse la fede che li aveva in ditto Santo per le parole che lui li disse disnando, essendo ditto Moro capitanio di Padoa; e poi venutoli a mente la parola di ditto santo siando sia falto ms. Pasqual in vita dil Foscari, el lui li disse dopo la morte, lui, il Moro, si acquietò. Ma quando poi, nel 1462, dopo la morte del Malipiero, fu esso in suo luogo eletto principe, li crescete più la fede et devotion in detto san Bernardino, ee. Pertanto assunto al ducato, il Moro, fece istanza che fosse solenne il giorno di San Bernardino, e il 1470 fu il primo anno che ebbe luogo tal festa, secondo il Malipiero (Annali veneti). Superiormente vedemmo quanto egli operò durante il suo reggimento. Lo spirito di beneficenza che lo animava apparisce dal suo testamento pubblicato dall’illustre Cicogna. Era guercio, di piccola statura, e, secondo dicono il Sanuto e il Malipiero, morì con cattiva fama d’ipocrita, di vendicativo, di doppio, d’avaro; ed era mal voluto dal popolo. Ma giusto quanto rileva saggiamente il Cicogna, tali cose sono certamente contrarie al vero, riferite forse a motivo di qualche particolare animosità o del Sanuto o del Malipiero. Imperciocché attestano gli storici che morì con dispiacere universale; e le azioni di lui, narrate dallo stesso Sanuto, palesano specialmente la sua pietà verso la patria, e verso la religione; intorno a che si vegga l’Agostini (Scrittori veneziani), che ne fa l’apologia. E dicono Giovanni Palazzi (Fasti ducales) ed il Papadopoli (Gymn. Patav.) essere stato illustre questo doge per castità, perciò, essendo ancora giovane e soggetto ad amare, una monaca uscita dal cenobio se gli era offerta, egli, lungi dall’abusarne, la costrinse tornare al suo ritiro; aggiungendo esso Papadopoli, che di questa generosa azione fu ringraziato da una lignea immagine del Salvatore che abbassò la testa mentre il Moro le passava davanti. Da sua moglie Cristina Sanuto non risulta che abbia avuto figliuoli.

La sepoltura del Moro, che è nel mezzo della cappella maggiore di San Giobbe, è decorata da un insigne sigillo, ornato d’intagli a foglie, lavorato forse da Pietro Lombardo, del cui siile sono del pari gli ornamenti che vestono tutta quella cappella, eretta coll’oro di questo doge. — Sul detto sigillo è scolpita la seguente inscrizione:

CHRISTOPHORVS
MAVRUS PRINCEPS
MCCCCLXX MENSIS SEPTEMBIS.

Tale epoca, secondo annota il Cicogna, accenna la data del testamento del Moro, non già quella della sua morte. Difatti esso testamento porta la data del primo settembre 1470, ed è in atti di pre Tomeo de Tornei, pievano di santa Sofia; ove è detto che l’arca era già stata costrutta per ordine di esso doge.

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Giardino di Cà Rezzonico, 3136 (Dorsoduro) – Corte del Teatro, 4604 (San Marco) – Chiesa di San Giobbe (Cannaregio) – Calle de l’Osteria de la Campana, 302 (San Polo) – Fondamenta Moro o Coletti, 3000 (Cannaregio) – Ruga dei Spezieri, 299 (San Polo)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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