Suor Arcangela al secolo Elena Cassandra Tarabotti, una monaca ribelle

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Chiostro del Convento di Sant'Anna. Sestiere di Castello

Suor Arcangela al secolo Elena Cassandra Tarabotti, una monaca ribelle

In uno dei codici della raccolta Cicogna si legge che nella libreria di Francesco Veniero, patrizio veneto della contrada di Sant’Agnese, si conservavano vero la metà del Settecento tre libri manoscritti intitolati Inferno Monacale, autrice una donna, la suora Arcangela Tarabotti veneziana (al secolo Elena Cassandra Tarabotti). Lo scritto, diviso in tre volumi, cominciava con una fiera invettiva contro quei padri e quei parenti che obbligavano le figlie, ancora fanciulle inesperte, a rinchiudersi a forza in un monastero.

Arcangela Tarabotti doveva essere una di quelle figlie, e difatti di lei sappiamo che nacque nel 1605 da Stefano Tarabotti, uomo di lunga esperienza nelle cose di mare, ma vista assai corta nelle cose di terra. In età di soli undici anni la povera fanciulla si trovò costretta dai parenti a vestire l’abito monacale di Sant’Anna, ed i primi anni forse le passarono tranquilli tra lo studio e le pratiche religiose nella quiete di quel convento che sorgeva allora dove poi, nel 1872 si istituì l’Ospedale della Marina.

Ben presto però nella fanciulla, ormai giovanetta, si rivelò la ribelle: monaca solo di nome, ma non d’habito e di costumi, quello pazzamente vano e questi vanamente pazzi; vestiva come le dettava la fantasia, operava come la spingeva il capriccio.

Verso il 1625 essendo molto rilassati i costumi nel convento di Sant’Anna, come del resto in molti altri della città, anche l’Arcangela ebbe a cavalieri un Leonardo Loredan ed un Marco Venier, ma il primo le fu ucciso a pugnlate dietro la Chiesa di San Domenico, sembra da un sicario, ed il secondo fu bandito per sospetto di correità nel gennaio del 1627. Da allora l’Arcangela si dette tutta allo scrivere contro i parenti che l’avevano imprigionata nelle mura conventuali e scrisse la Semplicità ingannata che fu stampata a Leida con lo pseudonimo di Galeana Barattoli; scrisse la Tirannia paterna ed il famoso Inferno Monacale che rimasero manoscritti.

La condotta della monaca ribelle cominciò a far rumore, tutta la città ne parlava per gli scritti audaci e molti patrizi accorrevano al parlatoio di Sant’Anna solo per vedere e conoscere la Tarabotti. Si mise allora di mezzo il cardinale Federico Cornaro, patriarca di Venezia, che con paterne insinuazioni, persuasioni e preghiere, cercò di condurre al pentimento quell’anima indiavolata. Ci riuscì ed ella abbandonò le lascivie degli habiti in cui tanto si dilettava e, forse essendo vicina alla quarantina, pensò bene di conciliarsi con la chiesa e scrisse allora il Paradiso Monacale.

Nel 1651, al 28 febbraio, nei necrologi di San Pietro di Castello si legge: “La Reverenda madre suor Arcangela Tarabotti monaca professa in Sant’Anna d’anni 46 per febre et cattaro motì nel suddetto Monastero. Il medico Squadron“. Così passò nella vita tra un Inferno e un Paradiso Monacale la suora Arcangela Tarabotti. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 4 aprile 1924

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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