Carte e dadi nella Venezia del Cinquecento

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Francesco Guardi. Il Ridotto di palazzo Dandolo a San Moisè. Ca' Rezzonico

Carte e dadi nella Venezia del Cinquecento

Nonostante le pene sancite verso il 1500 si giocava in quei tempi, talchè si incontrano il popolano ed il patrizio, il servo ed il padrone, la meretrice ed il prete. Non si giocavano somme grandissime ma si giocava di tutto: Toni de Castello, segador in Arsenal, aveva guadagnato alla bassetta a Davide de Rialto, bastaso in Casselleria, “doi scudi ed i drappi di dosso“. Paulo Manco denuncia certo Andrea dall’Oglio di avergli vinto al giuoco dei dadi una fila di perle che gli era stata affidata da tale Maffio orefice; Cate da Ragusa, meretrice al Castelletto, giocava, non avendo altro, gli eventuali guadagni di una settimana.

La pene, nei primi decreti, erano blande e si limitavano a multe soltanto, ma visto che il gioco continuava, anzi minacciando ai giocatori la prigione, la galera, il bando; promettendo somme al denunziante; alle meretrici la pena d’aver “tagliato il naso et le orecchie fra le due colonne de San Marco“, ma con tutto ciò la passione del gioco era più forte della paura del castigo.

Difatti moltissimi erano i ridotti, cioè case dove si giocava pagando un premio al padrone, e tra i più conosciuti ce ne era uno in corte Ragusei ai Carmini, uno in Calle dei Cinque a Rialto, un altro a San Geremia “in horto ditto di pre Galante” e quello sul sito classico a San Moisè “in calle per andar al traghetto della Trinità“. Anche gli ebrei, sfruttando la brutta passione, avevano messo su case da gioco, e si trova nei libri degli Esecutori che il 22 novembre 1575 fu condannato tale Joseph Abraam per aver “con fraude indotto a giocar a carte gioveni di età di anni 16 guadagnandoli danari contadi“; ed un anno dopo viene condannato certo Noè Salamonil quale consta lui aver tenuto redutto in Getto, dove andarono Christiani e Hebrei a zuogar giorno e notte“.

In un gran precesso di giuco avvenuto nel 1589 si trovano i più bei nomi del patriziato: i Tron, i Bembo, i Giustinian, i Bragadin ed altri, e messer Ottaviano Valier era anche imputato di aver “abbarrato con carte false, havendo rubato tremila ducati incirca“. Il processo si ridusse a multe più o meno forti e solo il Valier fu condannato a tre mesi di prigione.

A Santa Maria Formosa in Calle longa c’era il “redutto” di Elena Compagnessa, scacciata già dal “redutto” di San Moisè, e la Elena per maggior attrattiva aggiungeva al giuco anche la donnetta, “bassetta e cotoletta“, ed i frequentatori erano molti e molti i profitti della bella Elena. Ma i vicini fecero ricorso per gli scadali notturni, e quei benedetti Esecutori alla bestemmia condannarono a tre mesi la Elena e per sempre chiusero lo scandoloso ridotto. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 21 dicembre 1923

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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