Il delitto di Giovanni Martino Sanudo e la pietà del Consiglio dei Dieci

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Rio de la Croce. Isola della Giudecca

Il delitto di Giovanni Martino Sanudo e la pietà del Consiglio dei Dieci

L’atroce fatto accadde la notte dell’11 luglio 1602. Dice un privato documento: “Un Sanudo che sta in Rio della Croce alla Giudecca, fece l’altro hieri confessare sua moglie ch’era una Cappello et la notte seguente, su le cinque hore, li diede di un stiletto nella gola et la ammazzò; dicesi perché non gli era fedele, ma la contrada la predicava per una santa“.

Questo Giovanni Martino Sanudo, aggiunge il Molmenti, aveva sposato Lucrezia Cappello nel 1584. Quando la povera donna fu uccisa aveva trentasei anni. Il Consiglio dei Dieci decretò l’arresto del Sanudo, che riuscì a fuggire e fu condannato in contumacia al bando e, se rompesse il confine, alla decapitazione, con taglia a chi lo avesse preso di ducati duemila. Ma alla legittima e severa giustizia del Governo fanno pietoso riscontro le dolorose conseguenze della tragedia.

Giacchè della infelice donna rimanevano a Venezia cinque figlioli, i quali, orfani della madre, con il padre bandito, senza sostanze, si rivolgevano al Consiglio dei Dieci per ottenere al padre il salvacondotto con una supplica che non si può leggere senza commozione. Questo ed altri documenti relativi furono già pubblicati dal valente Cecchetti nell’Archivio Veneto (Vol. XXXII). E la severità del Consiglio si piegò dinanzi alla gravità del triste caso con umana saviezza.

I Dieci infatti decretavano in seguito alla supplica dei disgraziati figlioli: “E’ così lagrimevole il stato di Sanuda, Livio, Alvise, Franceschina et Livio II, fratelli et sorelle, figli de Zuane Sanudo fo de ser Alvise, bandito capitalmente da questo Consiglio sotto li 29 luglio dell’anno passato: et riesce perciò così honesta et ragionevole la humilissima suplicazione hora letta di dette cinque povere creature che conviene alla solita clementia et pietà del detto Consiglio di concedere al suddetto ser Zuane Sanudo salvacondotto de anni doi per che possi proveder alle necessità di assicurare l’honor della predetta sua infelice prole“.

Con successive reiterate suppliche il Sanudo ottenne poi parecchie proroghe al suo salvacondotto, talchè si giunse al 1621, anno in cui egli chiese ed ottenne dai Cappello, parenti della povera vittima la carta di pace. La riportiamo a modo di chiusa e come documento d’umana pietà ispirata al sentimento religioso, di sapore antico: “Al nome di Dio e della Santissima Trinità adì 30 Marzo 1621. Considerando io Carlo Cappello fu di sier Piero che fu di ser Carlo li sinistri accidenti di fortuna, sotto a quali l’humana generatione è sottoposta, et commiserando et compassionando li infelici avvenimenti negli altri: sperando per ciò dal Signor Dio esser maggiormente protetto, rimetto ogni offesa, che io havessi ricevuta da mio cognato il N.H. ser Zuanne Sanudo fu de ser Alvise; promettendoli da qui innanzi per fine ad ogni et qualunque odio o malevolentia, pregando il Signor Dio concedi ad ambedue la buona Pasqua et il perdono de ogni offesa“.

Ma ufficialmente, come si direbbe oggi, non bastava. Il Sanudo dovette ricorrere a un Comune del Begamasco al quale il Consiglio dei Dieci aveva concesso facoltà di liberare due banditi. Con questo mezzo ottenne alla fine l’assoluta liberazione del bando.

Benchè qualche dubbio possa tuttavia esser lecito, questo fatto si dovrebbe considerare come un trionfo della pietà sulla rigida giustizia; giacchè, come conclude lo storico, assai di raro le altre protezioni riuscivano a sopraffarla, e dinanzi a lei piegava perfino la ragion di Stato. Tanto più che l’intervento del Comune bergamasco estingueva legittimamente ogni pena secondo la legge e il diritto. Onde possiamo concludere che la giustizia della nostra vecchia Repubblica fu, si, severa, ma anche a tempo e luogo savia e umana. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 22 settembre 1923.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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