Gli Arsenalotti
Gli Arsenalotti sotto la Repubblica Veneta erano quasi una casta, una nobiltà speciale: la nobiltà del lavoro.
La Serenissima era per loro la benedetta Mare, e furono essi che risposero accigliati e con gli occhi di pianto: Viva San Marco! ai patrizi che gridando Viva la libertà! scappavano dal palazzo Ducale gettando vilmente nei corridoi e per le scale la toga senatoria.
Gli Arsenalotti esistevano soltanto a Venezia, e dice bene padre Guglielmotto, nel suo dizionario di Marina, che Arsenalotto è none collettivo di tutti gli operai stabili addetti soltanto all’Arsenale di Venezia, e formavano, in certi casi, una guardia speciale del Doge. La Repubblica difatti affidava agli Arsenalotti la sorveglianza di tutti i luoghi della città più ragguardevoli e più gelosi, e nelle funzioni e nelle feste erano quasi i pretoriani fidati del Doge stesso.
Allorché, tra la morte di un Doge e l’elezione dell’altro, c’era l’interregno la protezione e la custodia del palazzo Ducale era interamente ed esclusivo diritto degli Arsenalotti e nei tempi normali pattuglie formate da loro, avevano la notturna custodia della Piazza, del Tesoro di San Marco, del Banco Giro, della Zecca e dell’Arsenale sotto gli ordini del Paron de turno, uno dei tre Provveditori a l’Arsenal nominati dalla Serenissima.
Quando il Maggior Consiglio si radunava a Palazzo nella loggia eretta dal Sansovino ai piedi del Campanile, vegliava alla custodia del sommo consesso un Procuratore di San Marco con una schiera di Arsenalotti. E questi, durante la guardia, erano armati di brandistocchi a tracolla, specie di picche, ma con l’asta più lunga ed il ferro più corto, e portavano anche un legno dipinto in rosso, che tenevano in mano a guisa di bastone.
La guardia alla Loggetta era dagli Arsenalotti tenuta in gran conto come titolo di onore, e così pure era ambito vogare nel Bucintoro, conducendo il Doge e la Signoria nel giorno della Sensa alla fastosa funzione dello sposalizio del mare. In quel giorno gli Arsenalotti erano inviati a banchetto a palazzo Ducale e dopo il pranzo il Doge inviava a ciascuno di essi in regalo quattro fiaschi di moscato greco, una scatola di confetture e una di spezie.
Nella cronaca dei Caresini si legge che una bizzarra costumanza permetteva agli invitati di portare seco, quale ricordo dell’invito, le posate, i tovaglioli ed i bicchieri del banchetto, ma nel palazzo durante la festa era severamente proibito gridare la favorita esclamazione: Viva San Marco!
Però gli Arsenalotti appena in piazza e lungo la riva degli Schiavoni, che quasi tutti abitavano a Castello, un po’ per il vino moscato e molto per l’amore alla Repubblica, si sfogavano a lanciare il loro prediletto grido di omaggio all’Evangelista protettore.(1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 30 agosto 1923.
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