Il Palazzo dei Duchi di Ferrara, poi Fondaco dei Turchi

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Michele Marieschi. Il Fontego dei Turchi

Il Palazzo dei Duchi di Ferrara, poi Fondaco dei Turchi

Nei Diari del Sanudo si legge in data 12 febbraio 1509 che “in più luoghi la sera se ballava in diverse contrade, et fino in la caxa del ducha di Ferrara olim (una volta), qual hora è di la Signoria nostra, fo fato in questo zorno feste con pive (pifferi) et femene varie“.

Il palazzo dunque dei duchi di Ferrara poi Fondaco dei Turchi, era stato nel 1508 confiscato dalla Repubblica al duca Alfonso d’Este perché questi faceva parte della famosa lega di Cambrai, ed in quella giornata, come narra il Sanudo, si ballava allegramente nelle sue sale per una vittoria avvenuta contro i Tedeschi sotto le mura di Padova.

Il palazzo ebbe una proprietà davvero movimentata: costruito dai Pesaro, verso il duecento, a cavaliere delle sue antiche parrocchie di San Giacomo dall’Orio e San Giovanni Decollato, fu comperato dalla Repubblica nel 1381 per farne un dono a Nicolò d’Este, allora marchese di Ferrara; confiscato nel 1508 fu regalato a papa Giulio II e questi lo donò ad Altobello Averoldo legato apostolico; nel 1527 ritornò agli Estensi e da Cesare d’Este fu dato nel 1602 al cardinale Aldobrandini che lo vendette poi al patrizio Antonio Priuli il quale fatto doge, lo assegnò quale fondaco e dimora dei Turchi residenti in Venezia. Tale palazzo ebbe ad ospitare imperatori e principi, e fra le sue mura fece breve fermata anche Torquato Tasso quando con Alfonso di Ferrara venne a Venezia per incontrarvi Enrico III di Francia.

Ma fra i molti suoi proprietari e fra i suoi moltissimi ospiti, la tradizione popolare oggi ricorda che i Turchi, i quali presero stanza nel 1621, ed in tale occasione si chiusero in muratura tutte le finestre e le porte che davano sulla strada e sul canale ad eccezione della grande porta d’entrata sulla “Salizada del traghetto“. Fu vietato alle donne ed ai giovanetti l’accesso al palazzo, fu probita l’introduzione di polvere e di armi da fuoco, e si ordinò ai Cinque Savi alla Mercanzia di attentamente e costantemente vigilare.

Ma sulla vigilanza dei Cinque Savi ebbe ragione tale Marietta Formentello, che aveva casa in “contrà de San Zan Degolà” la quale con altre due o tre compagne, entrava molto spesso nel Fondaco appena calata la sera, e ne uscivano quasi sempre al primo suono del mattutino della vicina chiesa di San Giovanni.

La cosa fu vista, fu detta e fu ripetuta, ma l’ultima parola la ebbero i Cinque Savi, tribunale inappellabile per tutto ciò che riguardava il Fondaco, i quali condannarono, con sentenza 20 gennaio 1715, le donne a sei mesi di prigione ed a dodici tratti di corda per ciascuna “per avere ardito mescolarsi con turchi“.

I Turchi poi del Fondaco, con la stessa sentenza, furono condannati in solido alla multa di cento ducati d’oro. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 22 febbraio 1924

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