Un delitto passionale al Fontego dei Turchi

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Luigi Querena. Il Fondaco dei Turchi

Un delitto passionale al Fontego dei Turchi

Venezia nella sua storia ricorda quattro fondachi dati agli stranieri per il deposito delle loro merci: il fondaco degli Arabi alla Madonna dell’Orto, quello dei Persiani a San Giovanni Grisostomo, il celebre fondaco dei Tedeschi e l’ultimo, per cronologia, quello dei Turchi a San Giacomo dall’Orio.

Verso la metà del Cinquecento parecchi erano i Turchi dimoranti per ragioni di commercio nella nostra città, e nel 1571 abitavano in Cannaregio nel palazzo di Marcantonio Bragadin, bailo a Costantinopoli, ma dopo due anni furono ospitati in una gran casa di proprietà di un Vendramin a San Matteo dove stettero fino al 1621. In quell’anno il doge Antonio Priuli volle destinar loro, quale stabile dimora, un palazzo ispirato ai modelli orientali, posto a cavaliere delle due antiche parrocchie di San Giacomo dall’Orio e di San Giovanni Decollato. Il palazzo costruito nei primi anni del secolo tredicesimo da un fuoriuscito di Pesaro, Giacomo Palmieri, acquistato dalla Repubblica e donato al marchese di Ferrara nel 1381, confiscato nel 1482 e successivamente appartenuto a papa Giulio II, agli Aldovrandini, ai patrizi Priuli e Pesaro e finalmente adibito a Fondaco dei Turchi.

Il Consiglio dei Dieci stabilì allora la chiusura delle finestre che davano sulla via, si vietò alle donne cristiane l’accesso al palazzo, si proibì l’introduzione di polvere e armi da fuoco e si commise alla magistratura dei cinque Savi alla Mercanzia la sorveglianza delle merci, dei depositi, dei cortili.

Nel 1720 uno dei principalo personaggi turchi del Fontego era Ahmed-Siddi ricco mercante di Scutari, il quale, per quei cinque o sei mesi che doveva rimanere a Venezia, aveva condotto con sè la più bella delle sue mogli. Il giovane patrizio Piero Morosini figlio di sier Zuane, il diarista della guerra di Corfù, della contrada di San Giovanni Laterano, era stato in quell’anno eletto Savio alla mercanzia ed egli frequentando quasi giornalmente il Fontego “erasi molte volte incontrato con la moglie del mercante qual vestita alla turca pareva anche più bella et in quelli incontri gli occhi di loro havevano parlato“.

Ben presto tra la bella turca e il patrizio divampò una di quelle passioni che non ragionano, ed una vecchia ebrea, tale Sara, lavandaia a San Zan Degolà non tardò ad essere la mezzadra del colpevole amore. Ma purtroppo la tragedia scoppiò come il fulmine nella notte del 10 agosto 1720. Nell’animo di Ahmed da qualche giorno si era insinuato il sospetto del tradimento, forse la vecchia Sara ebrea per paura o per lucro aveva parlato, certo che in quella notte i due innamorati furono sorpresi in una stanza terrena del primo cortile. La donna venne uccisa con una pugnalata e il patrizio, stretto tra le poderose braccia del turco, fu gettato dalla piccola porta del Fontego nel rio del Megio, Pietro Morosini si salvò a stento, e Ahmed-Siddi scomparve da Venezia nel mattino seguente.

Gli Inquisitori seppero subito della terribile avventura e il patrizio Piero venne destituito dalla carica di Savio alla Mercanzia, decretando il Tribunale che per dieci anni dovesse essere escluso da qualsiasi ufficio di Stato. Si cercò il cadavere della povera uccisa, vennero interrogati gli abitanti del Fontego, si procedette a lunghe e minuziose perquisizioni, ma nulla si scoperse: il silenzio e il mistero avvolgeva ogni cosa.

Nel 1860, essendo il Fontego quasi in rovina, il Comune di Venezia che lo aveva acquistato, ne attuò, con non troppi felici criteri, la ricostruzione. Era direttore dei lavori l’ingegnere Federico Berchet e volendo saggiare le fondamenta del palazzo furono fatti qua e là degli scavi. In uno di questi e precisamente in un angolo del primo cortile venne trovato uno scheletro di donna avvolto in un drappo, e un braccialetto d’argento con inciso un verso del Corano. Era la moglie di Ahmed-Siddi? (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 6 novembre 1927

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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