I Furlani a Venezia

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Calle dei Furlani. Sestiere di Castello

I Furlani a Venezia

Nel 1418 Venezia conquistava tutto il Friuli spogliandone il patriarca di Aquileia Luigi di Tech: Udine, capitale della regione, si era già data ai Veneziani inviando deputati ed ostaggi al campo, e aperte le porte alle truppe di San Marco, era stato eletto primo luogo tenente del Friuli il patrizio Roberto Morosini. Così la Serenissima non solo si trovò ad essere potenza formidabile marittima ma anche terrestre; dominatrice del golfo Adriatico da una parte, dall’altra del Friuli, porta d’Italia.

La “Patria del Friuli“, come allora si chiamava il vasto territorio, anche sotto il potere temporale dei patriarchi, dimostrò sempre una speciale simpatia per la Repubblica, e i friulani dai loro castelli feudali calavano a Venezia fin dal 1272 per giostrare, avendo essi fama di celebri ed eccellenti armeggiatori.

Così la cronaca di Martino da Canal narra di una famosa giostra combattuta dai friulani per tre giorni continui in Piazza San Marco alla presenza del doge Lorenzo Tiepolo e fu splendida festa, meravigliosa per magistero e bravura, per la bellezza dei cavalli e per la ricchezza delle armature e molti furono i friulani onorati.

Con la conquista del Friuli anche parecchi del popolo scesero nella Dominante, e la più gran parte di essi abitavano nel sestiere di Castello nella calle e fondamenta dei “Furlani in la contrada di santo Antonino“, e nel campo a calle delle “Furlane” nella parrocchia di San Pietro.

I Furlani, corruzione di Friulani, facevano molti e svariati mestieri: erano acquaioli, tavernieri, lavandaie, venditori di ciambelle, facchini, bastasi ed una ordinanza del Consiglio dei Dieci in data 25 settembre 1454 ordina appunto “a li facchini et bastasi furlani qui morantur (qui dimoranti) in calle Furlanorum” di darsi in nota presso i Capi del sestiere per accorrere, in caso di bisogno, a spegnere gli incendi “a li primi botti di la campana a martello“.

Nel Cinquecento, quantunque scrittori e medici consigliassero alla madre di allattare i propri figli, perché scriveva Lodovico Dolce nel suo libro “Della institution delle donne” anche i bruti fanno ciò con i loro nati, le donne di maggior grado rifuggivano da “la soggesion et da la noia di dare il latte alle loro creature” e si ricercarono specialmente le sane e forti nutrici del Friuli, le quali nel giorno del battesimo adornavano l’infante di gioielli, lo involgevanono in pannicelli trinati, e lo accompagnavano alla chiesa, sopra carri e baldacchini ricchissimi seguite dai numerosi “compari“, mentre la madre stava a letto circondata dai parenti.

La donna del Friuli, dopo aver allattato un bimbo in una casa patrizia, faceva quasi parte della famiglia, e i patrizi che amavano “robbe soda, morbide e fresche“, e non delle “petrarchescarie“, vedevano volentieri quelle femmine friulane forti e possenti e qualche volta ne facevano le proprie amanti.

Ricorda la “Guida” del padre Vincenzo Coronelli che i Furlani avevano scuola di devozione nella chiesa di San Basso, oggi deposito bagagli di chi visita la Basilica di San Marco, sotto il patrocinio di San Pio, ma verso la metà del secolo decimottavo la trasportarono nella chiesa di San Giovanni del Tempio, anticamente posseduta dai Templari, volgarmente chiamata d’allora “San Giovanni dei Furlani“, dove costruirono la loro tomba con l’iscrizione, “Arca della Scuola di san Pio“.

Nelle sue “MemorieGiacomo Casanova racconta che nel Settecento i friulani facevano anche il mestiere della caratteristica guida chiamata “còdega“, forse dal greco “odegos“, guida, e di notte con il loro fanaletto acceso per rischiarar la strada, conducevano in giro il forestiero. “E pur che i paga mi so andar per tutto“, diceva maliziosamente il furlan, ma essi erano fidati, onesti, coscienziosi, facevano le commissioni di fiducia e molto spesso quelle amorose e fu appunto ad uno di loro che il nostro avventuriere affidò la sua prina lettera d’amore per essere recapitata alla bellissima monaca nel suo convento di Murano. E il furlan disimpegnò il suo incarico da messagero fedele!.

I Furlani, onesti lavoratori, impiegati in faticosi lavori, grandemente economi e di poche parole, non andavano troppo d’accordo con il popolo veneziano che scansava le fatiche, spendereccio ed amante dei divertimenti, delle sagre, dei bagordi. E tra loro correvano beffe ed ingiurie e così nei secoli scorsi erano in vigore numerosi proverbi tra i quali: “Dal Furlan né bon vento né bon cristian“, oppure “Dime ladro, dime can, ma no me dir furlan“, ed altri ancora che suonavano a disdoro di chi li diceva, piuttosto che a quelli cui erano diretti. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 24 luglio 1932

Da sinistra a destra, dall’alto in basso: Calle dei Furlani (Dorsoduro), Calle dei Furlani (Castello), Rielo dei Furlani (Castello), Rielo dei Furlani (Castello), Calle dei Furlani (Castello), Calle dei Furlani (Castello), Calle dei Furlani (Castello), Fondamenta dei Furlani (Castello), Rielo dei Furlani (Castello). 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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