Le povere schiavone truffate

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Palazzo Dandolo Bernardo. Riva dei Schiavoni - Sestiere di Castello

Le povere schiavone truffate

Verso la metà del maggio 1532 la famosa fiera della Sensa era nel suo massimo splendore. Forestieri a centinaia arrivarono da tutte le parti dell’Italia, gli alberghi erano tutti pieni di gente e nei loro palazzi parecchi patrizi ospitavano amici e conoscenti venuti per ammirare il grande mercato al quale si aggiungevano le feste, le rappresentazioni, le baldorie mascherate.

Era già finita, con la pace di Bologna, la lunga guerra prodotta dalla Lega di Cambrai, e la Repubblica cercava di rimarginare le piaghe richiamando, con lo splendore e la richezza delle sue fiere, l’oro forestiero, dando vita nuova e fattiva alle varie industrie del “dogado“.

Così avena impartito a tutti i Podestà di terraferma l’ordine di agevolare il più possibile i viaggi dei sudditi e il trasporto delle merci, e non sola la Piazza, la Piazzetta e il Molo erano un vero emporio delle più svariate mercanzie, ma gli ultimi arrivati dovettero adattarsi ad aprire negozietti e baracche al di là del ponte della Paglia nella vecchia contrada dei Santi Filippo e Giacomo.

Il 18 maggio giunsero dalla Dalmazia alcune Schiavone con le loro “rascie“, un panno nero grossolano di robusta tessitura molto in uso a Venezia per coprire “li felzi” delle gondole, e scesero al Molo con le moltissime casse di drapperie, ma gli ufficiali “de li Savi a la mercanzia“, destinarono per il loro traffico il tratto di terreno attiguo al palazzo Dandolo, oggi albergo Danieli, all’imboccatura della Calle delle Rasse dalla parte della Riva degli Schiavoni. I grossi panni dalmati invogliavano molti e nei primi tre giorni le Schiavone fecero affari d’oro, tanto che alla fine del quarto restavano appena un cento ducati di merce, ma denari non ne avevano ancora veduti perché “batidor, sensal et scodidor” era stato un uomo che si era accattivata tutta la loro fiducia, un tale Antonio Pignoli che teneva bottega di panni in calle della Rasse all’insegna di “santo Zirolamo“.

Alla sera del quarto giorno il Pignoli comperò per suo conto la merce rimasta, e venne stabilito che il pagamento di tutta la mercanzia venduta, salvo il tre per cento per le sue prestazioni, sarebbe avvenuto all’indomani mattina all’apertura del Banco Contarini a Rialto dove per paura dei furti egli diceva di aver depositato il denaro riscosso.

In quella sera per festeggiare la totale vendita della merce, Antonio Pignoli invitò all’osteria della “Corona“, dove è attualmente il caffè Orientale (Nuovo Danieli), e dette loro una lauta cena e vini generosi, rallegrando il festino con scherzi, giuochi e canzoni. Ma all’indomani la bottega del Pignoli, era chiusa ed egli era scomparso. Le Schiavone picchiarono, chiamarono, s’informarono, ma nulla seppero, tanto che fuor di loro “vennero in Consiglio a dolersi et fo preso mandar li fanti in la bottega“, ma la bottega era vuota e si seppe soltanto che il truffatore aveva nella notte noleggiata una varca, caricate le merci che aveva in bottega e fatto vela verso il porto di Chioggia, con i denari delle Schiavone, circa ottocento ducati.

La Quarantia criminale “fo preso allora che sia proclamato processo contra el ditto Antonio, la sua absentia non obstante per haver robà a queste meschine Schiavone” e, fatto il processo, il Pignoli venne per sempre bandito con taglia di ducati trecento a chi lo avesse arrestato. Le meschine Schiavone, racconta il Sanudo, se vollero ritornare nei loro paesi dovettero ricorrere ai Provveditori di Comun per ottenere qualche sussidio. Ebbero però la magra soddisfazione di sapere che Antonio Pignoli era stato arrestatato a Trieste dal padrone della barca che aveva saputo della taglia, “et menato a Venetia fo pichato in mezzo le do colonne verso nona dil zorno 30 maggio di quello stesso anno“.

Almeno l’oste della “Corona“, che aveva rimesso del suo il prezzo della lauta cena e dei vini prelibati, ebbe il conforto di vederlo impiccare! (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 marzo 1928

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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