I Greci a Venezia

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Salizada dei Greci. Sestiere di Castello

I Greci a Venezia

Quando nel 1082 il vecchio e debole impero bizantino, minacciato dai Normanni, già fatti signori della estrema parte dell’Italia, ricorse per aiuto al giovane popolo della lagune, i Veneziani compresero subito che se la Grecia fosse caduta, come la Puglia, in potere dei Normanni, il commercio in Oriente, fonte principalissima di grande ricchezza, avrebbe avuto un colpo mortale.

Accettarono quindi l’invito dell’imperatore Alessio e dopo aspra e lunga lotta, Bisanzio fu salva per opera di Venezia, la quale ebbe in premio amplissimi privilegi: confermato il dominio sulla Dalmazia e sulla Croazia, consentita piena libertà di traffico in qualunque punto dell’impero senza pagare tasse di dogana, ancoraggio, pedaggio o qualsiasi altro dazio, e finalmente concesso un quartiere speciale in Costantinopoli.

Da tali relazioni politiche e commerciali sorse tra Greci e Veneziani una reciproca simpatia, e più tardi quando la potenza ottomana cominciò a gravitare tutto il suo peso oppressivo e barbarico sulle popolazioni della Grecia, si fecero numerose migrazioni di persone e di famiglie che sognavano la pace e la tranquillità dell’antica città di San Marco, e Venezia accolse i profughi con segni manifesti di benevolenza.

Popolo di mercanti i veneziani da sempre innamorato della bellezza, e tra i profughi venuti nelle lagune parecchi dotti greci insegnarono la vecchia lingua dell’Elade come Manuele Grisolora, Giorgio Trapesunzio, Gemisto Pietone, frate Matteo Ronto nato in Grecia da genitori veneziani, e così altri greci, giunti nella Dominante dopo i concili religiosi di Ferrara nel 1438 e di Firenze nell’anno seguente, e dopo la conquista turca di Costantinopoli avvenuta nel 1453, trovarono nella lagune quasi una seconda Bisanzio.

Né furono soltanto mercantili e leterarie le relazioni dei Veneziani con i Greci, che anzi ad essi dovette pure la Repubblica un vigoroso rinforzo alle sue flotte e una eccellente cavalleria come fu quella dei Stradiotti, ammirevole sui campi di battaglia e sempre fedeli alla nuova patria di elezione.

Era quindi naturale che anche il loro culto godesse di larghe concessioni in Venezia, e la Serenissima, d’accordo con i Domenicani di San Giovanni e Paolo, concesse per le loro funzioni ortodosse la cappella di Sant’Orsola, e poi la chiesa di San Biagio, chiesa vecchia fabbricata nel 1052 per opera della famiglia patrizia Boncigli, e nella quale i Greci funzionavano il martedì ed il sabato di ogni settimana.

Ma la colonia greca prosperò sempre nelle lagune e tanto crebbe che comperato un terreno vacuo nella contrada di Sant’Antonin innalzò nel 1539 una sua propria chiesa di fattura splendida su disegno di Sante Lonbardo, condotta a termine da Giannantonio Chiona e consacrata nel 1571. Chiesa signorile, elegante per l’accurata ricchezza delle parti decorative e delle suppellettili, con cupola avvenente nelle sue linee emisferiche, attribuita a un maestro Andrea che molti, senza fondamento, identificarono con Andrea Palladio. La chiesa fu dedicata a San Giorgio dei Greci e nel suo cortile d’ingresso venne innalzata la Scuola di San Nicolò, raccolta pregevole di cimeli d’arte greca e dove si raccoglie la Comunità nella bella sala Capitolare.

Ebbe pure la colonia un piccolo monastero per ricovero delle monache che dai paesi invasi dai Turchi riparavano a Venezia; fondò una scuola di educazione, scopo della quale era insegnare lettere greche ed esercitare la gioventù a parlare speditamente la lingua antica; aperse un ospedale per i confratelli poveri; creò una propria tipografia che con le accurate edizioni sparsero il greco sapere nella stessa Grecia. La scuola greca fiorente per serietà di studi e per la dottrina degli insediamenti, venne ingrandita mercè le offerte del patrizio Tomaso Flangini di Corfù, il quale, a sue spese volle che fosse pure istituito un collegio di giovani convittori, soggetto alla magistratura dei Riformatori dello Studio di Padova, e i cui allievi, compiuti in esso gli studi, venivano ammessi all’Università e quindi ai gradi dottorali.

Caduta la Repubblica scemava d’importanza la colonia; molti partirono; perdite gravissime soffersero in capitali depositati nella veneta zecca; monastero, scuola, ospedale soppressi; oggetti d’arte dispersi e rubati, ma la storia fedelmente narrerà che dalla colonia greca di Venezia, favorita e protetta dalla Serenissima, usciva il seme generatore della moderna civiltà della nazione greca. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 29 gennaio 1933

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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