Gli Ebrei a Venezia

0
1144
Campo Gheto Novo. Sestiere di Cannaregio

Gli Ebrei a Venezia

Fin dai primi secoli della repubblica compaiono a Venezia gli Ebrei commessi o compratori di case commerciali dell’impero greco, e già nel 1152, asserisce il Galliccioli, si trovano nella città milletrecento ebrei che potevano senza restrizioni trafficare ed esercitare liberamente la medicina, l’unica delle arti che fosse loro permessa.

Nel secolo tredicesimo formavano una numerosa colonia composta di tre nazioni, levantini, ponentini e tedeschi e si erano dati completamente all’usura sopra pegni, non essendosi ancora istituiti i Monti di Pietà, né i banchi pubblici che dessero denari a prestito, ma la loro avidità era dal Governo frenata con opportuni provvedimenti.

Così nel 1389, con il permesso del Senato, un tale Levi e una sua sorella, “Levi judens et soror sua” aprivano un banco a Rialto con il capitale di cinquemila ducati d’oro, ma dovevano prestar denaro all’otto per cento con pegno e al dieci senza.

A Venezia godevano di una certa libertà, però fino al 1516 non ottennero mai di poter stabilmente abitare nella città: veniva loro concessa una permanenza temporanea che andava da quindici giorni a cinque anni e si chiamava “condotta“; a Mestre invece ottenevano più facile e più lunga dimora e poterono anche avere una propria sinagoga, mentre coloro che commerciavano con la Dalmazia per uno speciale decreto del Senato, abitavano con una più prolungata condotta nell’Isola di Spinalunga, chiamata da allora dai giudei “Giudecca“.

Nel 1386 ottenero dalla Signoria un piccolo cimitero al Lido e fu loro concesso di circondarlo di tavole per proteggere i morti dagli insulti della plebe, poiché il popolo odiava gli Ebrei e li odiava per la loro cupidigia, per la remissività, per l’imbroglio. Ma erano difetti molto comuni anche ai cristiani e il Governo, tra i più liberali d’Italia, ricompensava invece gli Ebrei che in qualche opera di ingegno si segnalassero e così una ducale di Lorenzo Tiepolo concedeva a Davide, ebreo di Negroponte, la cittadinanza veneziana per le sue benemerenze; nel marzo 1331 a un Leone, medico rinomato, si permetteva di esercitare la professione senza l’esame solito a darsi alla presenza dei giustizieri, e Davide Calonimos nel Cinquecento ebbe onori e privilegi come “cerusico sapiente“.

Ma né favori, né divieti poterono tenere in freno l’usura ebraica che cresceva a dismisura e sempre su pegno d’oro, d’argento, di perle e di gemme, in modo che nel 1395 si diceva che “totum mobile Venetie“, tutta la ricchezza mobile di Venezia, si era ridotta nelle loro mani. Si decretò allora che non potessero dimorare in città più di quindici giorni, portassero sul petto un segno gialo in forma di “O” e siccome quel segno occultavano con il mantello, fu imposto loro, più tardi, un berretto giallo o rosso.

Intanto l’odio popolare contro di loro cresceva e nel giugno 1497 accadde a Piove di Sacco, in quel di Padova, un fatto che mise a rumore la terra ed ebbe una eco anche a Venezia: “trovandosi a Piove un povero vilan poverissimo et non avendo da semenar, andoe da alcuni zudei con li qual convene che li dovesse dar formento per semenar quatro campi che havia, et per compenso voleno mità racolto. Et cussì have il formento. Or al presente in ditte terre, è nassuto una sorta di formento molto vario de li altri. Prima la spiga era bella et longa et in cima havia alcuni grani di formento; poi era a modo di cagature di sorzi, zoè negri, et rompendo si trovava una cossa bianca simile a bombaso. La qual cossa per esser miracolosa, ditto formento fo portato a Padoa et a Venetia, accio tutti vedesse come Idio mostrava questo miracolo contro zudei“. Le spighe portate in Piazza San Marco furono mostrate al popolo, alcuni preti fanatici raccontarono il fatto “de lizudei che voleano mità raccolto” e la plebe furibonda seguita da un gran codazzo di putti dette la caccia ai beretti gialli. Alcuni vennero bastonati e feriti, molti riuscirono a scappare rifugiandosi a Mestre nella sinagoga.

Nel 1516 gli ebrei furono tutti ridotti nel recinto appartato del Ghetto, posto fra la contrada di San Geremia e il monastero di San Girolamo, circondato da un alto muro dove venivano chiusi dal tramonto al levar del sole, non potendo uscire in certi giorni di feste della chiesa cristiana come la Pasqua, il Natale e l’Ascensione.

Le porte del Ghetto vennero atterrate dalla rivoluzione di Francia che proclamava per tutti i diritti di libertà e di eguaglianza.(1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 28 aprile 1929

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.