Nicolò Canal, un Capitano generale da Mar pusillanime

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Palazzo Canal in Rio terà Canal. Sestiere di Dorsoduro

Nicolò Canal, un Capitano generale da Mar  pusillanime 

Nicolò Canal nel 1470 era succeduto a Jacopo Loredan nel comando generale della squadra che operava contro i Turchi mossi alla conquista di Negroponte.

L’armata turca era forte di più che trecento vele, il mare pareva un bosco e sugli alberi innumerevoli sventolavano le bandiere del Sultano con la falcata luna in campo rosso e sembrava una festa quel lunghissimo corteo che doveva ben presto seminare la morte.

La Repubblica, in quel frangente, soccorsa, con mirabile slancio, di viveri e ducati da Padova, Verona, Vicenza e Brescia, in quindici giorni allestì venti navi da trecento botti(*) in su, quindici galere grosse e dieci galere piccole e le mandò al Canal in aggiunta alle sessanta galere che aveva. 

Il 14 luglio 1470 l’armata turca era entrata nel canale di Negroponte verso Carasto e Porto Leone, e dalla parte di terra giungeva lo stesso sultano Mohammed con il suo esercito e costruiva sul canale un ponte di barche per il passaggio delle truppe, assediando così Negroponte per mare e per terra.

La flotta veneziana se ne stava intanto tranquillamente ancorata nell’isola di Schiati ed il 20 luglio. “Il capitan de la predicta armata, fè li patron delle galee venire, e fecero consiglio di brigata, dicendo il ponte se vole investire, assai parole fo, ma non l’ardire“.

Al giunger della notizia a Venezia fu un lutto generale, si raccolse subito il Collegio e dopo discussione breve ma ponderata venne incaricato il Consiglio dei Dieci di provvedere. A Pietro Mocenigo, nominato capitano generale dell’armata, fu ordinato di partire subito e di mandare il Canal a Venezia sotto buona scorta.

Partiva il Mocenigo con i provveditori Alvise Bembo e Marin Malipiero, e giunto a corca tre miglia da Negroponte gli venne incontro il Canal al quale fu partecipata la decisione dei Dieci. Sommessamente messer Nicolò rispode: “Io son qua a obedienza: fate de mi quel che ve piase“.

Posto con il figlio Pietro sulla galera di Marco Bondumier arrivò a Venezia il 19 ottobre, e fu mandato nel carcere Grandonium degli Avogadori.

Il processo non fu lungo, i fatti erano troppo palesi per trarne cavilli, però non c’era tradimento, né perduta era la flotta e la condanna anziché al Consiglio dei Dieci spettava al Senato.

Ed il Senato fu mite, forse troppo mite, poiché dinanzi alle gravi accuse, con centoquattordici voti contro ventotto negativi e trentacinque non sinceri, il Canal fu condannato a confine in Portogruaro, con minaccia di sei mesi di carcere e bando perpetuo se fosse uscito dal prescritto confine. Inoltre fu condannato alla restituzione degli stipendi quale capitano generale.

Il Consiglio dei Dieci non approvò questa eccessiva mitezza del Senato e quando il Canal, che era stato per circa tre anni ambasciatore veneto a Roma, si rivolse al papa pregandolo che intercedesse la grazia rispose che egli non venne giudicato secondo giustizia, ma solo con grande misericordia e con infinita clemenza.

Mandava poi subito un suo segretario al podestà di Portogruaro con l’ordine di chiamare il Canal e ammonito severamente affinché in avvenire si guardasse bene di ricorrere a qualsiasi principe per intercedere una grazia che mai gli verebbe concessa.

Il Sanudo che non solo raccontava la cronaca dei suoi tempi ma che raccoglieva anche le impressioni dei suoi concittadini sugli avvenimenti che narra conclude la storia del Canal dicendo:”Tutta la terra biasimava molto il zeneral doctor atto più presto a lezar libri, che governar le cose de mar, ma più materia (pazzia) fu de queli che lo elessero zeneral“.

Del resto il Canal non fosse homo de mar lo prova lo stato dell’armata trovata dal Mocenigo nel massimo disordine “et piena de diavolessi, de grandi criori (contese) et de desobedientie“; che fosse più letterato che guerriero lo prova la sua indecisione e la sua pusillanime inoperosità dinanzi allo spettacolo tremendo di Negroponte debellata.

Gli uomini non s’improvvisano e forse la Repubblica nella mite condanna contro il Canal tenne pur conto che la causa prima di quel disastro era in parte sua colpa. (1)

(*) Una botte era l’unità di stazzatura ed equivaleva ad una tonnellata

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO ILLUSTRATO, 12 ottobre 1924.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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