Il lusso delle vecchie regate

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Vincenzo Maria Coronelli. La regata. Da Internet Culturale https://www.internetculturale.it

Il lusso delle vecchie regate

La regata nel Seicento raggiunse uno splendore non mai pià veduto e rimase fino alla caduta della Repubblica il pià grande spettacolo veneziano, la Festa Nazionale della Serenissima.

Le barchette si staccavano della “mota” o punta di Sant’Antonio a Castello, percorrevano tutto il Canal Grande, e giunte al termine di esso, in faccia al Ponte de la Croce, giravano intorno al “paleto“, per poi rifare la via, e fermarsi alla “macchina“, un padiglione sfarzosamente addobbate, eretto sopra chiatte, “in volta di canal“, tra il palazzo Foscari e quello dei Balbi, dove sedevano tre patrizi che aggiudicano i premi. Quattro erano d’ordinario le corse e quattro i premiati per ogni corsa: al primo si dava una borsa di denaro appesa all’asta di una bandiera rossa; al secondo una bandiera verde; al terzo una celeste; al quarto una gialla e un porcellino vivo, e a tutti e tre, come al primo, anche regali in denari. Ai regatanti facevano ala, lungo le due sponde del Canal Grande, le “peote“, le “bissone“, le “margarote“, le “balotine“, tutte barche a dieci, ad otto, a sei, a quattro remi, pomposamente e fantasticamente adorne a spese dei più ricchi patrizi e delle consorterie delle arti e dei mestieri.

Lady Montagù, letterata inglese, in una delle sue lettere scritte alla sorella a Londra, facendo la descrizione di una regata, che essa chiama uno dei più ricchi e mirabili spettacoli del mondo, ci dà anche quella di alcune bissone allestite da qualche famiglia patrizia; Mocenigo, la Notte con cavalli marini, la luna, le stelle e ventiquattro statue rappresentanti le ore; Morosini, la Polonia con figure rappresentanti le provincie e i fiumi; Contarini, le Arti liberali con Apollo, le Muse e la Fama; Foscarini, il carro di Flora circondato da morini; Contarini Zane, la Vittoria attorniata da trionfi militari; Correr, il mare Adriatico con simboli storici; Gradenigo, il giardino delle Esperidi con quaranta statue; Querini, il carro di Venere tirato da cigni; e tante altre barche foggiate a giardino, a sale, a gallerie, a soggetti mitologici, e in tutte una grande ricchezza di costumi, di arazzi, di broccati, di drappi d’oro.

Nel giorno della regata cessava anche il famoso decreto del 1606 sul lusso delle gondole, ed era allora una gara tra i patrizi a chi aveva la gondola più bella e più sfarzosamente allestita, e le livree dei gondolieri più originali e magnifiche.

Erano nel Seicento circa duemila e seicento le gondole private e “li barcarili de casada” quasi quattromila; le gondole in quel giorno erano tutte in gran festa per i sontuosi velluti, i tappeti orientali, e gli addobbi di seta che dalle sponde cdevano nell’acqua con fiocchi d’oro e d’argento; i gondolieri vestivano pomposi costumi dai colori vivaci, dalle larghe sciarpe di seta con lo stemma padronale, dalle penne di struzzo e di pavone sui piccoli berretti.

Si leggono, in una cronaca del 1628, alcune notizie sulla regata fatta in onore di Ferdinando II, Granduca di Toscana, e il lusso fu tale che la Signoria spese cinquantamila ducati, circaduecentocinquantamila franchi, senza contare le iniziative private che sorpassavano quasi del doppio la somma spesa dal Governo; le sole bissone salirono al numero di trecentonovantadue e le peote a circa contosessante.

Il Canal Grande, con la sua magnifica cornice di palazzi che lo fiancheggiavano, pareva una incantevole visione evocata da un magico poetre, poiché, scrive un cronista: “li ben architettati con diciottomille seicento e diacianove tra balconi, poggiuoli e terrazze, davano campo allo sfoggio di superbe tappezzerie, di damaschi, di tappetti di levante, di grandi e magnifici arazzi, di costosi velluti li cui vivi colori erano animati vieppiù da galloni, frangie d’oro e d’argento, e fiori, fiori dappertutto a festoni su li poggiuoli, a pendagli sui balconi“.

La famosa “macchina” sulla quale si distribuivano i premi era un capolavoro di costruzione, di arte, di prospettiva, si cambiava ad ogni ragata e costava fior di quattrini; decoratori, scenografi, pittori, artisti creavano le più belle fantasie con ricchezza e gusto d’arte ottenendo effetti straordinari; a volte era un superbo arco di trionfo con uno sfondo di città meraviglioso, a volte una montagna con castella e fontane, a volte ampie pianure con fiumi solcati da barche pavesate a gran festa.

Dopo le regate, sulla “macchina” tutta illuminata si dava concerto di musica e canto, si gettavano confetti alle gondole che sostavano intorno al palco, mentre il popolo si sparpagliava per le osterie discorrendo sulle vicende della festa sulla valentia dei regatanti.

Oggi mancano le ricche gondole patrizie, scomparse le peote, le balotine, le margarote, povere e stinte le vecchie bissone, non più arazzi ai balconi, ma quando passano i regatanti tra le grida e gli applausi della folla, sorride ancora sul Canale, un pallido riflesso dell’antico splendore. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 4 settembre 1932.

 

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