Verona si svegliava, nel 1405, nella luce grande di San Marco

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Palazzo del Comune o della Ragione. Piazza dei Signori. Verona

Verona si svegliava, nel 1405, nella luce grande di San Marco

Sotto il dogado di Michele Steno, uno di “quei zoveneti fioli de zentilhomeni” che avevano cinquant’anni prima scritta la mordace pasquinata contro il vecchio principe Marin Falier, la Serenissima raggiunse in terraferma lo splendore che già aveva ottenuto nelle sue innumerevoli gesta marittime.

Così nelle aspre guerre con i Carraresi, Verona, Vicenza, i Sette Comuni, Padova e Rovigo avevano fatto la loro dedizione a Venezia e, primi fra tutti, furono i Veronesi a presentare alla Signoria i simbolici segni del potere: “li doi stendardi del popolo, il bacheto del comando, le chiavi di la terra et la bola di la signation“.

Giunsero gli ambasciatori nelle lagune il 12 giugno 1405 ed erano venti accompagnati da otto cavalieri e sette mercanti, vestivano di “scarlattina“, panno finissimo di rosso vivo, e avevano al loro seguito centodieci cavalli montati dai più cospicui cittadini di Verona.

La Signoria aveva fatto costruire dinanzi alla chiesa di San Marco “tra la porta granda et verso la Marzaria” un grande palco addobbato con tappeti d’Oriente, damaschi di Persia e arazzi fiamminghi e sul palco, a destra del trono dogale sventolava il gonfalone di San Marco dal leone d’oro in campo vermiglio.

Quando i Veronesi entrarono in Piazza, le campane suonarono a distesa e squillarono le trombe d’argento; smontati dai cavalli, vennero accolti sul palco dal doge, vestito di bianco, e messer Jacopo de Favri, capo dell’ambascieria, fiancheggiato dai due cavalieri missier Verità de Verità e missier Aliardo degli Aleardi, presntò al doge i simbolici doni. Le chiavi erano tre, una grande, una mezzana, l’altra piccola: significavano esse le tre porte di Verona, la porta di San Giorgio, quella del Vescovato e quella dei Calzari; per le loro dimensioni, la grande rappresentava i dottori, i gentiluomini, la mezzana i mercanti, la piccola il popolo. “El bacheto” simboleggiava la Signoria di Verona: era bianca e voleva dire purezza, era lungo e signficava lunga permanenza sotto il dominio veneziano, era rotondo e quindi nessun principio e nessuna fine alla gloriosa Signoria di Venezia.

Tolte dalle mani dei cavalieri veronesi le due grandi bandiere di seta, il Favri piantò sul palco ai lati del gonfalone di San Marco: l’una aveva la croce bianca in canpo rosso, l’altra la croce d’oro in campo azzurro: la prima indicava la purezza accoppiata all’amore della nobiltà veronese verso verso la Serenissima, l’altra la fedeltà e la costanza di tutto il popolo.

Dopo il solenne giuramento di fedeltà fatto dagli ambasciatori sul Vangelo di San Marco squillarono le trombe e si alzò il Serenissimo Michele Steno così brevemente parlando: “Messeri, dixe Isaia Profeta: Populus qui ambulat in tenebris vidi lucem magnam, che vol dir cussì: el populo che andava in le tenebre, vide la luxe granda, et zoè Verona che stava sotto tiranicha Signoria, ancuo se svegia ne la luxe granda de san Marco, perché chadauno che sia sotto tiran, de qualunque modo, è sempre in tenebre. I tirani no varda se non a saziar i so apetiti et ha respeto de senestrar le persone, li averi, le libertà, ma li suditi de la dogal Signoria de Vinegia non ha paura né per lori, né per li so averi, né per le so libertà. Questa è luxe, questa Messeri, è luxe granda!“. E il doge preso il gonfalone di San Marco lo diede agli Ambasciatori mentre la folla prorompeva in alte grida di “San Marco, Verona, Verona“. Finita la cerimonia, le due bandiere veronesi furono portate in chiesa San Marco e messe ai due lati dell’altare maggiore; dopo tre giorni vennero appese in alto dell’altare stesso sotto i due grandi dell’altare stesso sotto i due grandi mosaici di San Marco e di San Pietro.

Oggi, unico ricordo di quella splendida cerimonia, rimangono le simboliche chiavi conservate nel nostro Seminario della Salute. (1) 

Le chiavi delle città di Padova, Vicenza e Verona, ornavano il sepolcro di Michele Steno a Santa Marina, sotto il cui ducato quelle città caddero in potere dei veneziani. Nel 1810, alla demolizione della chiesa, le chiavi vennero trasferite nel Seminario della Salute ed appese sotto un’iscrizione dedicata a Taddeo Volpe da Imola, che sotto Padova combattè strenuamente gli  alleati di Cambray. 

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 3 giugno 1928.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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