I Canonici di San Marco e quelli di Castello

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Giovanni Grevembroch. Gli abiti de Veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII. Canonico o cappellano di San Marco (con l'almuzia)

I Canonici di San Marco e quelli di Castello

La chiesa d’oro del santo Evangelista rappresentava la patria, dove nessuna autorità poteva essere superiore a quella del doge, che ebbe sulla Basilica l’assoluto dominio, esercitando la sua azione sull’edificio e sui ministri ecclesiastici e laici.

Fin dal 979, Tribuno Memo confermava essere la chiesa cappella privata dei dogi, e sempre vani riuscirono i tentativi di patriarchi e di vescovi per rendere la chiesa di San Marco “suddita papae“. Il doge, essendo laico, non poteva esercitare personalmente la giurisdizione ecclesiastica, ma con espressa delegazione la trasfondeva, per tutto ciò che spettava agli uffici divini, al primicerio e ai suoi canonici.

Canonici che alla loro origine si chiamavano cappellani, poiché i veri e propri canonici erano nominati soltanto con decreto episcopale o pontificio mentre quelli di San Marco venivano creati dal doge. Ma avendo il primicerio, loro capo, ottenuto verso il 1250 da papa Innocenzo IV, per intercessione del doge Marin Morosini, il privilegio di non sottostare alla curia patriarcale, anzi avendogli il pontefice accordato di portare, quale distinzione di onore, la mitria, l’anello, e il baculo pastorale, distintivo dei vescovi, venne concesso anche ai suoi cappellani l’uso dell’almuzia, una specie di cappa corta di pelliccia, propria dei canonici episcopali, e con quella i cappellani adottarono il titolo nuovo di canonici.

Protestarono quelli della cattedra di San Pietro di Castello, ma ormai la fortuna sorrideva ai cappellani marciani e sotto il doge Francesco Erizzo fu decretato che i canonici di San Marco “non cedessero a quelli di Castello“, e Pietro Antonio Pacifico nella sua cronaca affermava che “questi come Cappellani regi hanno il luogo dalli Canonici patriarcali non solo er volere del Serenissimo, ma anche per decreto dell’Eccellentissimo Senato“.

Era quindi manifesta la prepotenza ducale contro i canonici di Castello, nominati, secondo i tempi, da un vescovo o da un patriarca, e come logica conseguenza si diceva, anche tra i patrizi, non bastare l’almuzia per autorizzare il titolo, poiché una semplice concessione di veste ad onore non poteva legittimare una carica.

E contro questo abuso si citava dai castellani come nel 1355 il doge Andrea Dandolo, uomo autorevole, di tatto squisito e di somma giustizia, avesse in data 17 giugno bandito un decreto con il quale imponeva “che li Cappellani di San Marco non usurpino il titolo di canonici contro la verità, et in pregiudizio di lui et successori suoi“.

Questo decreto, pubblicato dal Muratori, dicevano i canonici di San Marco, era stato abolito nel 1368 da una dichiarazione del Maggior Consiglio con cui si disponeva “che tutti gli Offizianti et inservienti in san Marco siino sotto nome di Canonici maggiori e minori“, e si citavano le fonti: la manoscritta cronaca Svaier e il libro del PaceIl cerimoniale di San Marco“.

E siccome la questione minacciava di rinnovarsi anche negli utimi anni della Repubblica, così Giambattista Gallicciolli, che scriveva nel 1793 le sue “Memorie Venete antiche, profane ed ecclesiatiche” concludeva, cercando di smorzare le ire, che “da poi ebbero l’uso dell’almuzia, divisa propria dei Canonici episcopali, molto più ragionevolmente usurpavano quel titolo, che oggidì possono godersi in pace, senza pericolo che porti alcun pregiudizio“.

Caduta la Repubblica, il secolare dissidio tra i canonici della cattedra di San Pietro di Castello e quelli della basilica di San Marco terminò finalmente.

Nel 1807 San Pietro cessò di essere non solo cattedrale di Venezia, ma anche sede patriarcale di Venezia e il tutto venne trasferito nella chiesa di San Marco. Scomparsi così i canonici di Castello, rimasero soli quelli di San Marco che ebbero allora, la nomina dal patriarca come stabilivano i canoni ecclesiatici.

Oggi i canonici della nostra Basilica sono veri e propri canonici episcopali; per tradizione antica risiedono ancora nelle loro case rifabbricate nel 1635, e che danno il nome di “Canonica” al ponte, alla calle, al rio, al ramo vicino al tempio di San Marco. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 30 giugno 1932.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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