L’Accademia dei Nobili nell’Isola della Giudecca
Il 15 novembre 1609 che il procuratore di San Marco sier Ferigo Contarini della contrada di San Trovaso presentò al Senato una proposta circa l’istituzione di un Collegio per educare una quarantina di ragazzi nobili, figli di “barnabotti“, ossia di quei patrizi poveri che abitavano ordinariamente nella contrada di San Barnaba e che vivevano con gli aiuti pecuniari dello Stato e dei privati.
Il discorso di sier Contarini fu eloquante, specie quando parlò di quei giovanetti molti dei quali pur essendo buoni, intelligenti, volonterosi crescevano in balia di sé stessi per mancanza di mezzi mentre “ricoverati in luochi de boni costuni e virtù, allontanati da mali impieghi, apprenderanno attitudine necessaria a termini virtuosi e civili, conforme alla conditione di ognuno“.
La proposta piacque e il Senato accogliendola la mandò per un accurato esame ai Riformatori dello studio di Padova, ma con la morte del patrizio Ferigo, avenuta qualche settimana dopo, il disegno romase negli archivi dei Riformatori per la bellezza di quasi nove anni. Difatti solo nel 1618 per opera di sier Nicolò Contarini quondam Giovanni fu esumata la proposta e il Senato in quello stesso anno fondava nel’isola della Giudecca l'”Accademia dei Nobili” in un edificio di casa Giustinian “che sorgeva in luogo saluberrimo di aria e di luce nella fondamenta di Santa Eufemia e aveva davanti il largo canale giudecchino e la riva delle Zattere e dietro ortii verdi e fiorenti di vigne e di alberi e un vasto orizzonte lagunare“.
Lo Stato si era tassato annualmente di cinquemilaseicento ducati, ma anche molte offerte dei privati concorsero alla nobile imresa e fra questi monsignor Zuane Tiepolo, primicerio di San Marco, sottoscrisse per ducati trecento annuali, il senatore Ottaviano Bon per duecentocinquanta, i procuratori “de supra, de citra, de ultra” per un totale di seicento, ed il Consiglio dei Dieci dette ordine ai Camerlenghi di Comune di versare all’Accademia una soma annua di ducati tremila.
Gli ammessi alla Scuola dovevano avere dai dodici ai tredici anni e rimanervi fino ai venti, avevano alloggio, vitto, insegnamento completamente gratuito e vestivano fuori dell’Accademia una speciale divisa: pellegrina di panno azzurro, abito di panno nero ed un berretto di velluto rosso con il leone dorato.
Nel 1655 sotto il rettore reverendo Giovanni Battista Conchiato, uomo debole e fiacco, non c’era quasi più disciplina e i convittori più grandi si ribellavano ai prefetti: nella sera del 12 maggio ben sette studenti “passarono il canale fuggendo dal Collegio” e sbarcati alle Zattere misero a soqquadro la contrada con grida, prepotenze e soprusi. Arrestati dai Signori di notte presso una meretrice di San Trovaso, furono ricondotti in Collegio e puniti, ma mentre si procedeva ad un’inchiesta ordinata dal Cosniglio dei Dieci, altri quattro alunni “per sconcerti e sollevazioni contro li prefetti” furono espulsi e tre rinchiusi in camera di punizione per due mesi.
Si tolse il Conchiato da rettore, furono cambiati i prefetti e ritornò la tranquillità, ma dopo alcuni anni un nuovo preside, tale don Angelo Pagnesi veneto “dimentica obblighi e doveri, amministra, senza ordine, trascura disciplina e insegnamento, spende e spande per suo conto” e un giorno pieno di debiti fugge dalla terra di San Marco. I Dieci lo condanano al bando perpetuo e d’accordo con i Riformatori di Padova danno un nuovo ordinamento all’Accademia; introducono cattedre di rettorica, di matematica e di nautica, specialmente di nautica “per spargere il seme della marittima profession in chi hebba da Dio per proprio elemento el mar“.
Nel 1724 la direzione della Scuola fu data ai padri Somaschi e primo rattore fu il padre Stanislao Santinelli, uomo dotto e matematico profondo che dette glorioso impulso agli studi e severa condotta alla disciplina. Sotto la guida dei Somaschi l’Accademia prosperò fino a raggiungere i sessanta allievi e nella seconda metà del Settecento viene introdotta anche una cattedra di Diritto Civile di cui l’ultimo professore fu il sacerdote Domenico Brustolon, l’illustre autore del'”Uomo di Stato” stampato a Venezia dall’Editore Zatta.
Con la caduta della Repubblica, scompare anche l’Accademia dei nobili della Giudecca e mentre i cannoni di Bernardino Renier tuonavano dal Ponte di Rialto contro il popolo acclamante a San Marco, il professor Brustolon finiva la sua ultima lezione su “Giustizia e Libertà“. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 settembre 1929.
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