La Piazzetta dei Leoncini e la Parrocchia di San Basso

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Piazzetta dei Leonicini. San Marco

La Piazzetta dei Leoncini e la Parrocchia di San Basso

La Piazzetta dei Leoncini, che si apre a settentrione della Basilica di San Marco, si chiamava un tempo delle Erbe e anche di San Basso: delle Erbe perché qui si teneva in antico un mercato di erbaggi, di San Basso per la chiesa che sorgeva dirimpetto alla porta dei Fiori dell’atrio marciano, dei Leoncini per i due leoni in marmo rosso di Verona scolpiti da Giovanni Bonazza nel 1722.

Il mercato, uno dei tanti dove affluivano le erbe e la frutta delle rigogliose isole dell’estuario, durò fino quasi alla fine del Cinquecento; la chiesa, allora parrocchiale poiché San Marco era basilica ducale, dette il nome alla contrada e alla piazzetta quando fu sopresso il mercato; i due leoni, scolpiti per commissione del doge Alvise Sebastiano Mocenigo in ricordo della sua elezione avvenuta il 24 agosto 1722, battezzarono per ultimi la piccola piazza. E sulla piazzetta si alzava nel mezzo un puteale, “vera da pozzo“, in marmo con ornamenti scultori, e a decoro del pozzo più profondo che ci fosse a Venezia, ma, narra il Gallicciolli nelle sue Memorie venete, “la sua acqua non era molto buona per quanto la Repubblica alla fine del Settecento facesse quel rialzo di circa due piedi per difenderlo dagli allegamenti della’alta marea“.

Il pozzo trent’anni or sono venne distrutto, e a sostituirlo c’era il progetto di erigere una monumentale fontana ma poi non si fece più nulla.

Alla caduta della Serenissima, i famosi democratici veneziani con alla testa i patrizi Piero Donà, Nicolò Morosini e Zuanetto Widmann proclamarono la distruzione dei leoni “odioso e tirannico simbolo di tempi iniqui“, e così anche i due leoni di marmo rosso veronese della piazzetta vennero abbattuti dai loro piedistalli e colpiti dai martello democratici stettero rovesciati sul terreno fino al trattato di Campoformio.

Accanto alla chiesa di San Basso, ispirazione classica di Giuseppe Benoni che la ricostruì nel 1670 dopo l’incendio avvenuto nove anni prima, c’era in antico un’ampia loggia dove i patrizi solevano trattenersi nelle ore vespertine in lieta brigata, e vicino, verso la calle di San Basso, abitava nel 1528 Giacomo Palma il vecchio come appare dal suo testamento fatto il 28 luglio di quell’anno, due giorni prima della morte, nelle mani di Alvise Nadal, pievano di San Boldo e pubblico notaio.

Nella stessa parrocchia abitava in quel tempo anche Jacopo Sansovinogran proto della giesia di santo Marco“, che morto di anni novantuno abbe solenni funerali a San Basso, ma fu sepolto nella chiesa di San Geminiano, splendida opera sua, demolita nel 1810 per costruire la nuova scala del Palazzo Reale.

Era nel 1782 pievano di San Basso Benedetto Schiavini il quale si era raccomandato alla moglie del doge Paolo Renier, una ballerina, ceta Margherita Dalmaz di Costantinopoli, ma non riconosciuta dalla Repubblica, per essere fatto canonico. Rispose la Dalmaz: “Vi farò far si leverete la campana delle messe che mi sveglia ogni mattina con grande fastidio“. La campana fu tolta, ma la moglie del Renier vendette il canonicato per cento zecchini. Don Schiavini pieno di rabbia ripristinò la campana e si dette egli stesso a suonarla ciascuna mattina lungamente e cob furia. Nuovi approcci tra i due e nuova promessa della Dalmaz che alla fine se volle dormire tranquilla, dovette concedere la carica.

La chiesa di San Basso fu chiusa nel 1810 e convertita a deposito, mentre San Marco, ampliata la sua giurisdizione, divenne sede episcopale della città e il patriarca di Castello passò nel palazzo della Piazzetta dei Leoncini, costruzione neo classica di Lorenzo Santi. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 15 aprile 1928.

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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