Il banchetto pubblico offerto dal Doge in Palazzo Ducale ai Povegioti

0
1218
Isola di Poveglia

Il banchetto pubblico offerto dal Doge in Palazzo Ducale ai Povegioti

Fra Malamocco e l’isola di Santo Spirito sorge l’isoletta di Poveglia che formava una delle “comunità” veneziane ed aveva una chiesa dedicata a San Vitale. Al tempo della guerra di Chioggia nel 1380 tutte le case di quell’isola furono demolite perché i genovesi, occupandola, non potessero trovarvi ricovero; e così quei di Poveglia vennero a Venezia e si stabilirono nel sestiere di Dorsoduro e precisamente alla Giudecca e nelle contrade di Sant’Agnese e San Trovaso.

La tradizione vuole che durante la guerra, prima della demolizione della case, essi consigliassero i genovesi di recarsi a Venezia con delle zattere da loro fabbricate ed agevoli a navigare per le paludi della laguna. I genovesi accettarono, ma le zattere erano costruite in modo da sconnettersi ai primi urti, per cui i soldati in parte rimasero affogati ed in parte uccisi dai Veneziani accorsi alla difesa. Sia per premio di tale vittoria o per compenso dell’abbandono dell’isola, il fatto è che i Povegliesi avevano dalla Serenissima molti privilegi, fra i quali quello di ricevere dal Doge un pranzo nella domenica susseguente al giorno dell’Ascensione.

In quel giorno i “Compagni di Povegia“, scelti dalla “Comunità“, in numero di diciassette, si presentavano, tutti vestiti in gala, con alla testa il loro cappellano, a palazzo Ducale chiedendo del Doge.

Condotti alla sua presenza, il cappellano diceva: “Dio ve dia el bon dì messer lo Dose et semo vegnui a disnar con vu“. E il doge rispondeva sorridendo: “Sieu ben vegnudi“. Ed essi: “Volemo la nostra regalia“. Ed il Serenissimo replicava: “Volentiera, che cossa?“. Ed essi rispondevano: “Ve volemo basar“.

Et così per mezzo la bocca ad uno ad uno basa sua Serenità perché così è la sua regalia antica, et poi il Cavalier (maestro delle cerimonie) li mena a tavola nell’anticamera. Il Cavalier sta in cavo (capo) de tavola che rappresenta il Principe; compiuto che hanno da desinar, il Gastaldo mette man alla borsa, e dà lire ventisei de soldi piccoli (circa dodici lire d’oggi) al Cavalier li quali denari sono del Doge; il Cavalier poi li mena in Camera del Doge a tuor licenza, et poi se ne vanno con Dio“. Così la cronaca del Sanudo.

Nel partire i convitati avevano licenza di portar seco gli avanzi del pranzo, volgarmente chiamati “la borida“, e venivano ancora regalati di buona qualità di confetture e di un garofano: le confetture per i “putei de casa” ed il garofano per la “mujer“, quale gentile omaggio di sua Serenità “el Dose de Venetia” (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 25 novembre 1925

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.