Le Promissioni ducali

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Promissione ducale (particolare) da https://palazzoducale.visitmuve.it

Le Promissioni ducali

Il doge di Venezia all’atto della sua incoronazione doveva giurare piena osservanza e fedeltà alle leggi contenute nella “promissione ducale“, specie di statuto che determinava i limiti del suo potere e che con il tempo ridusse l’alta carica ad una pomposa apparenza di autorità

Ad ogni vacanza di ducato venivano eletti dal Maggior ConsiglioCinque correttori alla promissione ducale” i quali, forti dell’esperienza passata o consigliati dalle esigenze dei nuovi tempi, proponevano delle aggiunte o delle modifiche restrittive che limitavano sempre più i poteri ducali, tanto che si diceva essere il doge “in habitu primceps, in senatus senator, in foro civis“, nell’abito principe, e in senato senatore, nel foro cittadino, e come ogni altro cittadino soggetto al Consiglio dei Dieci.

La storia delle promissioni è la storia dei diritti e dei doveri ducali, più doveri che diritti, poiché i diritti erano quelli comuni ad ogni altro veneziano, ma i doveri erano di molto superiori. La più antica promissione che oggi si conserva è quella che riguarda il doge Enrico Dandolo, eletto nel 1193, e si trova, pergamena assai sbiadita, nella nostra biblioteca Marciana.

Con esse il Serenissimo Dandolo giurava giustizia imparziale ad ognuno, rigorosa esecuzione delle leggi senza arbitrio d’interpretazione o frode, scrupoloso segreto negli affari di stato, prometteva l’armamento di dieci navi a proprie spese in caso di guerra, di scrivere lettere al papa o ad altri principi, di sottomettere le proprie querele ai tribunali ordinari, e di non accettare favori o profitti. Ma la promissione che servì di base a tutte quelli posteriori, sebbene più ampliate sempre a detrimento dell’autorità dogale, fu quella del doge Jacopo Tiepolo nel 1229, in cui, non solo il principe giurava la sua illimitata obbedienza, ma impegnava anche quella della moglie e dei figli nei loro rapporti privati come accettazione di regali, promesse di matrimonio, sfarzo di vesti e ostentazione di lusso.

E difatti nella successiva promissione del nuovo doge Jacopo Contarini si coordinò le proibizioni, vietando ai figli e ai nipoti dei dogi di contrarre matrimonio con donne forestiere senza l’approvazione del Maggior Consiglio, ordinando alle dogaresse, pur circondate dal fasto nelle pubbliche cerimonie, di conservare la modestia delle consuetudini patrizie nella domestica intimità e prescrivendo di non accettare regali, servizi, doni e tributi “exceptis aqua rosata, floribus et herbis odoriferis“.

La satira che non risparmiava nessuno, nemmeno le promissioni ducali, difendeva la dogaressa, le costumanze femminili e i regali proibiti:

Mai non vidi tal durieza! / E’ fuor d’ogni zentileza; / Herbe, fior, aqua rosada / Fa muorir ogni casada

Nel 1600, eletto doge Francesco Molin, fu nella promissione aggiunto il divieto al principe di uscire dalla città senza licenza e venne abolita l’incoronazione della dogaressa. Ma le dogaresse si vendicarono e agli ordini imperativi giurati dal marito fecero spesso accoglienze ribelli poiché nel Settecento le promissioni richiamarono più volte la moglie del doge alla stretta osservanza di un lusso dignitoso, all’uso del velo e alle vesti “con taglio proprio della gravità della sua figura“.

Il 9 marzo 1789 l’ultima promissione fu giurata da Lodovico Manin, ma purtroppo giurando egli di procurare con ogni suo potere il bene e l’onore di Venezia, otto anni dopo fu per viltà spergiuro.(1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 7 giugno 1926

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