Cristoforo Moro un doge timoroso

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Sala del Maggior Consiglio. Jacopo e Domenico Tintoretto. Ritratto di Cristoforo Moro

Cristoforo Moro un doge timoroso

Cristoforo Moro, della famiglia Moro di San Girolamo, fu fatto Doge il 12 maggio 1462. Fra i Dogi della gloriosa Repubblica egli fu una vera eccezione, poiché egli è più noto nella storia per la sua pietà e per l’amicizia di San Bernardino da Siena, che non per la sua fermezza, né per virili virtù di principe.

Nel 1464 il papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, era riuscito ad indurre il Duca Filippo di Borgogna, il re d’Ungheria ed i Veneziani a collegarsi contro il Turco, anzi aveva ottenuto dai Veneziani che lo stesso Doge fosse il capo delle armate cristiane in Oriente.

Il 20 luglio il Senato si raccoglieva, in seduta solenne, per stabilire la partenza del Doge e dell’armata per la città di Ancona, dove era giunto il papa e si stavano armando le galere per la stabilita crociata. Il doge Moro, pallido e commosso, fece un lungo discorso, ricusando l’alto onore di porsi egli stesso a capo dell’armata, e giustificando il suo rifiuto con la sua malferma salute, con la sua insipienza nel comando militare, con la sua poca valentia nelle armi. I patrizi a questa strana dichiarazione, si guardarono taciturni ed accigliati; per un istante il silenzio fu solenne; ma una voce rude ruppe quel silenzio e dal suo scanno si alzò la maschia figura di Vettore Cappello, capitano navale, e per la grande sala echeggiarono queste parole: “Se la Serenita Vostra no vorà andar co le bone, la faremo andar per forza, perché gavemo più caro el ben e l’onor de sta terra, che no xe la persona Vostra“.

Alla fiera repubblicana franchezza del Cappello rispose il Doge sommesso ed umiliato: “Voria co mi sier Lorenzo Moro, che xe duca de Candia, admiragio su una galea“. E pronto il Senato ad una voce. “Se farà come la dise ela!“. E la seduta fu tolta

E’ noto che la famosa crociata non ebbe più luogo, poiché poco dopo, il 17 agosto 1464, moriva in Ancona Pio II e la flotta veneta ritornò nelle acque calme delle sue lagune.

Ma i Veneziani non dimenticarono mai il contegno pusillanime del loro Doge. Raccontano gli “Annali” del Malipiero, pubblicati ed illustrati nell'”Archivio Storico Italiano“, che una sera nella malvasia di Polo a San Cassan, il patrizio Bartolomeo Memmo quoandam Marco ebbe a dire ad altri patrizi. “Vegnino diese a consegio domenega che vien, et le corazzine sotto le veste, et amazemoli tuti, comenzando da questo becco de Cristoforo Moro“.

Le ingiurie al capo dello Stato venivano punite con la pena di morte, ed il Bartolomeo Memmo fu preso e, con sentenza del Consiglio dei Dieci, il 14 luglio 1470 fu appiccato fra le colonne rosse del palazzo Ducale. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 24 ottobre 1923

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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