Il Bucintoro
Il famoso Bucintoro, che si vuole risalga al 1310 sotto il doge Pietro Gradenigo e che tanta parte ebbe nelle feste civili e politiche della Repubblica, era tutto dorato e superbamente scolpito: lungo piedi veneti cento (metri 34,800), largo 21 (metri 7,308), alto 24 (metri 8,352). Era diviso in due piani; nel piano inferiore stavano i remiganti che per privilegio erano arsenalotti, quarantadue remi mossi da centosessantotto vogatori; il piano superiore formava un salone di rara magnificenza. Esso era tutto coperto di velluto cremisino con guarnizioni e fiocchi d’oro: a poppa stava il seggio ducale adorno di baldacchino, di statue, di fregi; intorno i superbi sedili delle alte magistrature; a prora giganteggiava la statua della Giustizia, simbolo civile della Repubblica, come il Leone ne era l’emblema politico.
Il salone aveva quarantotto finestre e dietro il seggio ducale si apriva un finestrino, dal quale il principe gettava l’anello in mare nella festa dello “Sposalizio“, e la porticella dorata che lo chiudeva fu la sola reliquia salvata dall’incendio democratico del 1797, ed ora custodita nel nostro Museo. Le statue, gli arazzi, i tappeti d’oriente, sontuosamente profusi, facevano del naviglio una meravigliosa opera di ricchezza e di arte.
Sulla etimologia del nome varie sono le opinioni: Marin Zorzi, nella Promissione del 1311, lo chiama “Bucentaurus” dal Virgiliano naviglio “centauro“; altri da piccolo “buzo“, nave, “buzin d’oro“, bucintoro; altri ancora da “ducentorum“, ché duecento erano gli uomini che anticamente lo dovevano vogare.
L’ultimo Bucintoro fu costruito nel 1729.
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 14 febbraio 1925
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