Bartolomeo D’Alviano, Capitano Generale della Repubblica di Venezia

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Monumento funebre a Bartolomeo D'Alviano. Chiesa di San Stefano. Sestiere di San Marco

Bartolomeo D’Alviano, Capitano Generale della Repubblica di Venezia

Si era in piena Lega di Cambrai contro la Repubblica, che mettendo a profitto la sua fine diplomazia e il valore delle sue truppe teneva arditamente testa a tutta l’Europa. I Francesi volevano conquistare le città del milanese appartenenti ai Veneziani e mettevano al comando dell’esercito il famoso maresciallo Gian Jacopo Trivulzio, mentre la Serenissima dal canto suo assoldava Bartolomeo D’Alviano, tornato allora di Francia e accolto a Venezia con feste quasi trionfali.

Il 15 maggio 1513 doveva aver luogo la solenne consegna del bastone di comando al signor Bartolomeo: andavano i gentiluomini destinati a levar l’Alviano nelle sue case vestiti sfarzosamente di drappi d’oro, di scarlatto e di seta, accompagnati dal lieto suono di venti trombe. Il capitano generale scese subito precedendo il corteo, vestito d’un robone di rizzo d’oro, la cui sola stoffa, racconta il Sanudo nei suoi Diari costava seicento ducati, seguito dai suoi domestici in ricca livrea, a scacchi bianche e rossi, e dai suoi paggi menati di Francia dai splendidi costumi di velluto bianco e rosso. Erano con lui i migliori capitani di allora: Teodoro Trivulzio in veste di damaschino paonazzo, con grossa catena al collo, domino Giampaolo Manfrone, Antonio de Pii e Giovanni da Fano con altri condottieri veneziani tra i quali il conte Collalto il figlio di Giano Campofregoso.

Il doge Leonardo Loredan aspettava vestito di “restagno d’oro” in sala dei Pregadi circondato dai Senatori e dagli ambasciatori esteri e giunto l’Alviano, con grande accompagnamento di popolo si riunirono le due comitive, camminando sier Bartolomeo e fianco del doge, scesero nella chiesa ove il patriarca cantò messa e benedisse bastone e stendardo. Il doge prese le insegne dalle mani del patriarca, volto all’Alviano gliele consegnò con un breve discorso, l’Alviano giurò solennemente sul Vangelo, e preceduto dallo stendardo e dalle trombe uscì di chiesa accompagnato dal doge, dal patriarca, dal Senato, da grande turba di popolo fino al ponte de la Paglia, dove si sciolse il corteo e il capitano generale ritornò con il magnifico seguito alle sue case dove diede uno splendido banchetto.

Il giorno dopo in casa Vendramin alla Giudecca ebbe luogo nella corte del palazzo una gande festa in suo onore, ma la suntuosa colazione fu fatta “in pressa“, poiché messer Bartolomeonon perde tempo né mai sta fermo“. Mangiava in piedi e diceva ai convitati sorridendo: “Io non nacqui mai et però non morirò mai. Et questo perché quando al nacque, la madre morite, et lui fu cavato dal corpo aperto della madre“.

Il 17 maggio egli doveva partire per il campo, ma fece sapere alla Signoria che non poteva andare al campo se prima non gli venivano pagati i seimila ducati promessi. La Signoria invece nicchiava per timore “non li spendi a pagar li soi creditori et perché conosceva la mania del lusso, delle spese pazze di messer Bartolomeo“, ma visto che l’ostinato non voleva partire, glieli diede e l’Alviano non pagò i creditori fece però grandi elemosine ai conventi e comperò argenti, “et molte altre cosse“, tutte cose utili a un condottiero. 

Alla vigilia della partenza, narra il Sanudo, Bartolomeo d’Alviano passeggiava per la Piazza di San Marco insieme con il doge Loredan. In alto dal campanile si stava riparando la cupola “et per mezo una ruoda di legno si tirava su le piere” quando si ruppe il sostegno e cadde la ruota con le pietre e queste uccisero un puto che stava a guardare. La grossa ruota balzò quasi ai piedi del doge “et il signor Bartolomeo disse: Buon augurio, la ruoda di la fortuna si volta in ben de vostra Serenità“.

Difatti, “la ruoda” portò fortuna e il d’Alviano ottenne prosperi successi nel Friuli e nel Polesine, ma purtroppo mentre il cuore dei Veneziani si apriva a belle speranze il capitano Generale di San Marco colto da grave infermità moriva il 7 ottobre 1515.

Il suo corpo fu recato a Venezia ove gli si celebrarono con molta magnificenza i funerali.

Fu sepolto a Santo Stefano e alla vedova e al figlio, rimasti in povertà per la sua mania del lusso e dello spreco, il Senato assegnò sessanta ducati al mese, diede loro una comoda casa in città e l’esenzione dei dazi per le cose loro occorrenti come assegnò altresì alle sue tre figliole ducati tremila per ciascuna al loro maritare. (1)

Il monumento alla memoria dell’Alviano nella chiesa di Santo Sefano, venne realizzato da Girolamo Paliari, scultore a San Vidal, su progetto di Baldassare Longhena (cfr. Pertile e Capponi. Il monumento a Bartolomeo D’Alviano). La lapide, posta ai piedi del condottiero, riporta la scritta:

“BARTOLOMEO LIVIANO IMPERATORI / PLURIMIS BELLIS SPECTATO / QUEM AD GAIDUM PRAEPROPERA MORS / FRACTUM LABORIBUS ABSTULIT / CIƆ.IƆ. XV NONIS OCTOBRIS / SENATUS DICATAM MEMORIAM RENOVAVIT / AD MERITA GLORIAE PERENNITATEM / .CIƆ. IƆC. XXXIII.”  

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 agosto 1934

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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