I Cittadini Originari

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1887
Giovanni Grevembroch. Gli abiti de Veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII. Residente Veneto

I Cittadini Originari

L’aristocrazia alla fine del Trecento poteva ormai dirsi sovrana; era già stato abolito “l’arengo” o l’assemblea del popolo come organo costituzionale dello Stato, e la Serenissima sdegnava la denominazione di “Comune” e chiamava sé stessa la “Signoria di Venezia“.

Dopo le prime agitazioni per rivendicare l’antica azione della cosa pubblica, il popolo si adattò ad approvare ciò che non poteva vietare, e impinguato dai grossi guadagni, rallegrato dalle feste, abbagliato dalle cerimonie crebbe e prosperò sotto la vigilanza dell’aristocrazia che lo proteggeva e lo garantiva da ogni torto.

Così tra le grandi casate nobiliare e il popolo sorse la casta dei cittadini che aveva saputo farsi strada con l’istruzione, con i commerci e con le sapienti iniziative prodotte da un lavoro intelligente e versatile che sapeva imporsi sotto aspetti diversi.

La cittadinanza veneziana era “de jure“, cioè di diritto, oppure era concessa “per grazia“: “de iure“, chiamata poi “originaria” si concedeva a chi, sortiti i natali legittimi nella città, avesse avuto il padre e l’avo cittadini, e non avesse mai esercitato arte meccanica; cittadino “de gratia” era invece che otteneva la cittadinanza, anche se forestiero senza averne il diritto, in ricompensa di servizi resi, o per altra nobile ragione. Questi ultimi cittadini erano poi di due specie: “de intus et de extra“, i primi godevano di alcuni privilegi come se fossero nati in città e potevano esercitare qualche arte anche fra le principali, i secondi avevano la permissione di poter navigare sotto la protezione del vessillo di San Marco e quella di negoziare nei luoghi e scali del commercio veneto con i diritti veneti.

Nel 1403 per tutti quei forestieri, che prendevano stabile dimora a Venezia, vi dimoravano per due anni consecutivi con le loro famiglie e si fossero iscritti all’ufficio dei Provveditori di Comun, si stabilì che potessero chiedere la cittadinanza “de intus“, ma tante furono le richieste che la Signoria dové porvi un freno decretando che tali grazie non fossero concesse se non con il voto dei due terzi del Maggior Consiglio. La cittadinanza veneziana, quale si fosse, era cosa tanto ambita e tanto desiderata che la sollecitarono e l’ottennero uomini di scienza come maestro Ravagnin, celebre fisico di Belluno, per la sua eccellenza nell’arte; e uomini di cappa e spada come gli Scrovegni di Padova, Dalmasio de Benolis capitano generale della Santa Sede a Ferrara, Lodovico Gonzaga signore di Mantova, Antonio della Scala signore di Verona, Galeazzo conte di Montefeltro e tanti altri, tanti e tanti, che volevano e agognavano la valida protezione della bandiera di San Marco allora potente e gloriosa.

Pero i soli cittadini originari potevano adire agli uffici di cancelleria, e, come li chiamava il patrizio Piero Contarini nel suo “Compendio Universale della Repubblica“, questi “zentilhomeni di popolo” formarono quasi un secondo grado di nobiltà, corrispondente all’ordine equestre dei Romani, chiamato più tardi l’ordine dei segretari e parificato in grado ai nobili di terraferma. Difatti i cittadini originari, non solo avevano il diritto ci concorrere a tutti gli uffici della cancelleria ducale, che erano talvolta gelosissime; non solo ai gradi superiori della milizia, ma erano anche eletti a rappresentare la Repubblica presso alcune corti minori, col titolo di “residenti“, e scrive sempre Piero Contarini “aggiongi diversi offici di molto utile et honore come Gran Cancelliere in Candia, Castellan a Crema, Provveditore a Cattaro, et altri diversi, ai quali non è lecito che aspiri alcun nobile, et aggiongi ancora sopracomito di Galea in tempo di Guerra“. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 18 dicembre 1932.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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