
Le donne e i 23 caffè della Piazza San Marco
Il 28 gennaio 1776 fu pubblicata una legge del Consiglio dei Dieci che fece gran chiasso nella città, specialmente fra le donne, patrizie e cittadine, per le quali appunto la legge era stata fatta. Il Consiglio “statuiva che per il viver troppo libero e licenzioso delle femmine, queste non possano entrare nelle botteghe da caffè e nei camerini delle stesse né di giorno, né di notte e molto meno fermarsi in quelle o in quelli“. L’esecuzione della legge venne affidata alla prudenza, zelo ed attività degli Inquisitori di Stato, e nei primi giorni tutte le donne ubbidirono tanto era il timore che incutevano i Babai, cioè i tre Inquisitori. Ma cominciò un poeta a protestare, l’abate Angiolo Maria Labia, che, senza le donne, prevedeva la chiusura dei caffè:
“Liogo e lusso spuar ne fa i polmoni,
La religion xe andata in precipizio
E i cafè fé serar? Oh che cogioni!“
Cominciata la battaglia dai poeti, anche le donne scesero in campo. Il 15 febbraio, verso l’ora di vespero, tutti i ventitré caffè della Piazza erano pieni di patrizie e cittadine nelle loro vesti de parada. Missier grande, il famoso Cristofoli, a quella vista corse dall’Inquisitor Barbarigo e questi con il suo solito muso duro rispose:”
“Missier, fè rispetar la legge
– La xe meza Venezia femenil, la vegna a vedar Zelenza
Ho dito, fè rispetar la legge.
– Ho capio, mi fasso serar le boteghe“.
e seguito da molti sbirri, tra episodi comici, scherzi e risa, fece chiuder le ventitré botteghe.
Ne venne un gran malumore, molti patrizi protestarono e il Consiglio dei Dieci, che non era più quello di un tempo, il 5 marzo annullava il decreto durato appena trentacinque giorni. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 26 novembre 1926.
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