Gli alberghi delle comunità; la comunità feltrina
Fin dai primi anni del Quattrocento la repubblica Veneta aveva concesso ad alcuni suoi sudditi di terraferma il diritto di tenere a Venezia particolari albergherie onde alloggiare i loro “nunzii over ambassatori od altre persone notabili quali fussero venute in questa nostra terra di santo Marco“.
Così sorgevano le “case Bressane” a San Zanipolo, quelle “Feltrine” nella contrada di Santa Maria Zobenigo, le “Padovane” a San Filippo e Giacomo, le “Trevisane” a San Marziale, vulgo San Marcilian, le “Veronesi” a San Fantin, le “Berganasche” a San Simone Piccolo, e quelle della Patria del Friuli in Calle dei Furlani nella parrocchia di Sant’Antonio. Ma con l’andar del tempo le Comunità privilegiate, o coloro che ne avevano la custodia, o coloro che ne avevano la custodia, concedevano tali case a persone che facevano “l’esercito di hosti” e che alloggiavano gente di qualunque nazione “non altramente da quello che fanno le pubbliche hosterie con le scostumanze a loro solite“.
Perciò il 4 giugno 1502 un decreto del Maggior Consiglio ordinava alle Comunità “de tuor le case de dosso” a coloro che indebitamente le tenevano e di fare le affittanze in nome proprio con la testimoniante del capo contrada e sotto la sorveglianza del capo contrada e sotto la sorveglianza dei Signori di notte.
Perciò il 4 giugno 1502 un decreto del Maggior Consiglio ordinava alle Comunità “de tuor le case de dosso” a coloro che indebitamente le tenevano e di fare le affittanze in nome proprio con la testimonianza del capo contrada e sotto la sorveglianza dei Signori di notte, proibiva inoltre di dar da mangiare e di accettare qualsiasi pagamento dai propri forestieri di passaggio fino al limite di giorni dieci dal loro arrivo e concludeva il decreto: “se dà el diritto de tenir case, ma non se vuol sia questa una speculatione“.
Nonostante le leggi, gli abusi continuarono sempre, poiché i custodi degli alberghi allietati dai facili guadagni li convertivano spesso in vere osterie dove si beveva e si faceva vita allegra di notte.
Nel 1570 nelle case dei Bergamaschi, situate nella omonima calle a San Simeone Piccolo, avvenne uno scandalo che mise a rumore tutta la contrada: tale Vincenzo “barcaruol dil traghetto di Lizza Fusina a san Nicolò de li Mendicoli” aveva preso stanza in una di quelle case insieme con una donna di Campalto, d’accordo con il custode a cui pagava una tenue quota giornaliera.
Il 15 aprile, verso due ore di notte, s’intesero alte grida di aiuto tosto soffocate, poi silenzio profondo; alla mattina si trovò la donna quasi nuda massacrata da ben dodici coltellate, accanto a un giovane bergamasco tessitore di lana mortalmente ferito mentre del barcaiuolo Vincenzo non restava alcuna traccia. Accorso il pievano di San Simeone, questi interrogò il moribondo e si seppe che autore della strage era stato il barcaiuolo che aveva sorpreso i due in un atteggiamento poco edificante.
Vincenzo venne bandito in perpetuo con grossa taglia e la Comunità di Bergamo, informata dalla Quarantia criminale, propose per il custode delle sue case due anni di carcere nelle prigioni ducali, proposta che fu accolta dal Tribunale veneziano a grande maggioranza.
Anche gli alberghi delle Comunità di Padova, di Treviso, di Verona, dettero non poche seccature ai tribunali di Venezia e per ultimo, quando ormai parecchie Comunità avevano rinunciato al privilegio, quella di Feltre portò querela contro un locandiere che minacciava di ledere i suoi diritti.
In data 29 aprile 1786 si leggeva nel giornale veneto “Il nuovo Postiglione” questa notizia: “Circa un mese fa è stato esposto al pubblico sotto l’insegna di una locanda questo manifesto. In Venezia vero Alloggio e sola Locanda Nobile della magnifica città di Feltre, trasportata dalla contrada di Santa Maria Zobenigo in Calle del Doge a San Maurizio. Si oppose a questo avviso il signor Lorenzo Ferri, vero e legittimo custode da molti anni della locanda della Feltrina tra i due ponti e Santa Maria Zobenigo et il dì 7 corrente fu decisa dalla Quarantia civile a di lui favore la questione“.
E così l’albergo in Calle del Dose a San Maurizio dovette chiudersi e il signor Ferri nella locanda da lui rappresentata, e che stava nel palazzo archiacuto nel “Campiello della Feltrina” a destra di chi viene da Santa Maria Zobenigo, espose sulla facciata per molti giorni lo stemma e la grande bandiera della “magnifica città di Feltre“. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 27 ottobre 1929.
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