Il teatro La Fenice (1792, 1837, 2003), a San Fantin, nel Sestiere di San Marco

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Teatro La Fenice. Campo San Fantin - Sestiere di San MArco

Il teatro La Fenice (1792, 1837, 2003), a San Fantin, nel Sestiere di San Marco

Un ponte, due fondamente, un rio, un campiello nella parrocchia di Santa Maria Zobenigo prendono il nome del teatro della Fenice, cominciato a fabbricarsi nel 1795 e con prodigiosa attività compiuto interamente nel breve termine di circa diciotto mesi.

La società proprietaria del teatro di San Benedetto, oggi teatro Rossini, società composta di ricchi patrizi, aveva comperato un gruppo di case in campo San Fantino con lo scopo di erigere in quel sito il principale teatro di Venezia, un magnifico teatro che doveva essere uno tra i più belli dell’Italia. Il denaro fu ben presto raccolto, e bandito il concorso per la nuova fabbrica si ebbero circa ventinove progetti tra nazionali e forestieri, ma della commissione aggiudicatrice venne scelto quello presentato dall’architetto e scrittore veneziano Antonio Selva, che aveva fama di ottimo artista e la cui produzione, specialmente decorativa, si elevava a un certo spirito di eleganza, ispirata anche ai modelli di Francia, dove egli era stato per alcun tempo a studiare.

Scelto il concorrente si dette principio alla costruzione: dapprima vennero demolite le case, e tra queste sembra vi fosse quella abitata da Vittore Pisani, il valente ammiraglio, che nel 1379 fu il principale eroe della famosa guerra di Chioggia contro Genova, la superba nemica di San Marco.

Demolite le case, si scavò il terreno per costruirvi le fondamenta, e negli scavi apparve una cosa veramente curiosa, a circa quattro metri dal solito flusso marino si trovò un grosso tronco d’albero con le radici ancora fitte nel suolo e un vasto graticcio di vimini che doveva servire ad uso di siepe, indizi, afferma il Filiasi nelle sue “Memorie storiche dei Veneti primi e secondi“, di un orto che colà esisteva ai tempi di Roma, quando le isole venete erano forse le avanguardie commerciali del golfo adriatico.

Fatto è che sull’antico terreno che si disse allora romano si fabbricò il teatro della Fenice che veniva aperto per la prima volta la sera del 16 maggio 1792, giorno dell’Ascensione, con il dramma “I giochi di Agrigento” libretto di Alessandro Pepoli, musica di Giovanni Paisiello. Il teatro era affollato della più elegante società veneziana, l’opera del Paisiello ottenne un successo felice, ma fabbrica del nuovo teatro sollevò per la città acerbe critiche, molte chiacchiere e satire maldicenti che arrivarono perfino a trasformare le iscrizione “Societas“, posta sul frontone della facciata, in un epigramma ad acrostico che diceva: “Sine Ordine Cum Irregularitate Erexit Theatrum Antonius Selva“, che in buon volgare suona: Senza ordine con irregolarità eresse (il) teatro Antonio Selva.

Ma se la facciata, che ancora sussiste nella sua forma originale si presenta meschina e disorganica, pure il suo interno costruito dal Selva era di una magnifica eleganza, e il teatro della Fenice ebbe fama in Italia tanto per la sua bellezza, quanto per la musica eletta che vi si dava.

Nel dicembre del 1836 il teatro bruciava: la vera causa di quel terribile incendio non fu mai conosciuta, chi la disse dovuta ad una sbadataggine del custode, chi ad una imprudenza di qualche inserviente, la conclusione fu che l’incendio distrusse ogni cosa, e soltanto rimasero in piedi le muraglie di accerchiamento che per la loro grossezza poterono resistere alle fiamme e al crollo spaventose del tetto. In soli sette mesi però si riedificava sul modello precedente per opera degli ingegneri Tomaso e Battista Meduna, venendo invece interamente rifatta la gran Sala del teatro, con ricca decorazione a stucchi, ad intagli dorati, a pannelli dipinti, capace di millecinquecento spettatori, simpatica opera di lussuosa signorilità che rispecchia anche oggi lo spirito veneziano.

Il teatro della Fenice, il grande teatro di musica, veniva aperto due volte all’anno, per la Fiera dell’Ascensione e per la stagione invernale che cominciava il giorno di Santo Stefano, ed era un lieto avvenimento per i patrizi che vi accorrevano in folla entusiasti dell’arte musicale e per gli artisti ai quali il battesimo della Fenice era quasi un talismano benefico e protettore, “Il genio si battezza alla Fenice, Sia di canto o di musica felice, Di musica o di canto è un tempio santo, Che all’arte reca il suo prezioso incanto“. Brutti versi, ma che dicono in quale concetto fosse tenuto il massimo teatro veneziano! (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 27 agosto 1933.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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