Mezza quaresima, “se brusa ła vecia”

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Gabriele Bella. Sagra della Vechia In Campo San Luca. Fondazione Querini Stampalia

Mezza quaresima, “se brusa ła vecia”

Con i gravi rintocchi delle campane di San Marco e di San Francesco della Vigna, che rimbombavano per tutti gli angoli della città, finiva il carnevale, ma non finiva la letizia della vita cittadina. Detersa appena la simbolica cenere dalla fronte dei devoti, cominciavano nel Seicento i sontuosi banchetti di magro nelle dimore dei ricchi patrizi e le chiassose cene nelle osterie popolari; cena di pesce con l’insalata, zuppe di ceci, arringhe affumicate che venivano dalla Dalmazia e vino a garganella.

Erano frequentatissimi in quaresima i conservatori di musica dei quattro maggiori ospedali, e asili di carità, della “pietà“, degli “incurabili“, dei “derelitti” e dei “mendicanti“, sorti alla fine dei Seicento, e dove si faceva della musica sacra, si ammiravano le allieve per la soavità del canto, e negli intervalli dei concerti si chiacchierava allegramente e si distribuivano rinfreschi.

A mezza quaresima si ripiombava per un giorno in carnevale: erano permesse le maschere e tutte la città si risvegliava in un impeto di allegria rumorosa e vivace con la grottesca buffonata della “vecchia“, e altre strampalate bizzarrie che si svolgevano nel campi di Santa Margherita, di San Polo, di Santa Maria Formosa e di San Cassiano.

Ma il campo preferito dal popolo per tale stravagante baldoria era quello di San Luca tutto parato a festa, tutto bandiere e damaschi fin dalle prime ore del mattino, in mezzo dal campo veniva costruito un gran palco, tutto adorno di carta d’oro e di festoni di lauro con qualche fiore di seta, sul quale si collocava un fantoccio al naturale di vecchia con la cuffia in testa e la maschera sul volto; due guardie in abito rosso e alabarda, tratti per lo più dai facchini della contrada, fiancheggiavano la vecchia, seduta sopra un seggiolone, rendendole onori in forma ridicola facendo ridere la grande folla intorno raccolta.

Tutto in giro del campo sorgevano banchetti di dolci, di frutta secche, di pesce fritto e di malvasia, “chiamata anche grechetto dolze e garbo“, molto frequentati dal popolo nei suoi abiti festivi poiché in quel giorno l’arsenale, le corporazioni e tutti i negozi facevano piena festa.

Al suono di accordati strumenti, scordati, di trombe, pifferi e tamburi, il campo di San Luca dava spettacoli svariati: il cane volante per una corda con un fuoco d’artificio legato alla coda, la pesca dell’anguilla con la bocca in una tinozza di acqua tinta di nero, l’albero della cuccagna con in cima salami, qualche bottiglia di vino e una o due galline, la corsa delle donne in gonnellino corto sopra una gamba sola.

Verso il tramonto la festa assumeva un tono più alto, più allegro, più carnevalesco: la vecchia, tra beffe e lazzi, veniva condannata e l’esecuzione della sentenza era immediata; le due guardie con una grande sega la segavano a mezzo e dallo squarcio uscivano confetti, ciambelle e frutta che venivano, con allegra baraonda, raccolte dal popolo e dai numerosi putti della contrada. Poi, senza finale, tra grida, fischi, urla e canzoni. il palco era bruciato, insieme alla vecchia, mentre dalla cuffia nascosti si accedevano alcuni salterelli con un baccano d’inferno.

Così finiva la festa della mezza quaresima ed oggi di questo baccanale caratteristico non rimane più che un breve motto storico veneziano, una sbiadita incisione e un dipinto. Il motto storico che corre spesso in bocca al nostro popolo e “brusar la vecia” per indicare e condannare una donna che sebbene in età più che matura ha sempre delle velleità giovanili; l’incisione è del Grevembroch conservata nel nostro Museo in cui si vede la vecchia segata in due parti; il dipinto, appartenente alla Pinacoteca Querini Stampalia, è opera di Gabriele Bella, pittore della seconda metà del Settecento, e rappresenta “La sagra della vecchia in campo san Luca“, il campo preferito al tripudio carnavalesco di mezza quaresima. (1)

 

Passatempo quaresimale di G.Grevembroch dall’Archivio digitale della Fondazione Giorgio Cini Onlus

Con tutto che siano derise le vecchie donne, non vi fu, ne sarà mai alcuna, che non tolleri volentieri l’età senile. In città dove tutto si soffre, purché serva a divertire la plebe, non s’impedisce che il giorno, che divide la metà di quaresima, stiano esposte certe manufatte statue, che industriosamente rappresentano brutte, e languenti femmine di tutto punto abbigliate. Vagheggiato tale spettacolo dal popolo, più affollato si trova verso la sera, per contemplare l’ultimo fine di si gustosa commedia. Giunta l’ora del maggior spasso, si affacciano i due deputati a separare per mezzo la mentita figura, e con sega effettuano o fingono ridurla in due parti, ed in simile guisa dare la morte a colei che è indicata per la più decrepita donna del sestiere. Nel Campo di San Luca, San Giovanni Grisostomo, San Cassiano, e Santi Filippo e Giacomo quasi ogni anno con buon garbo sta esposto sopra acconcio palco l’ideato sacrificio, in virtù del quale esce dal tronco corpo quantità di frutta e confezioni che avvalora il saccheggio di chi si azzarda di frammischiarsi tra tanta folla, animata dal suono di trombe e tamburi. (2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 3 marzo 1932

(2) Giovanni Grevembroch. Gli abiti de Veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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